Chi mi vorrà così bene da accettare di ricominciare ancora una volta con me? Chi sarà disposto a darmi di nuovo – qualunque cosa io faccia – un’altra possibilità? Qual è l’ultima parola sulla storia, sulla mia storia? Senza porsi queste domande il rescritto con il quale Papa Francesco riformula il numero 2267 del Catechismo della Chiesa Cattolica, escludendo ogni possibilità che il ricorso alla pena di morte da parte di uno Stato possa essere morale, diventa una questione per esperti, una diatriba tra chi nei prossimi giorni ci spiegherà che questa riforma recepisce le istanze della modernità e chi – al contrario – ci aiuterà a riscoprire il valore di “rimedio” per l’anima che ogni pena porta con sé all’interno dell’esperienza di fede.
Ci si potrebbe avventurare dunque per questa strada, cercare di rendere tutti consapevoli della continuità che questo provvedimento del Pontefice rappresenta rispetto alle parole e ai gesti degli ultimi Papi, ma questo tentativo oltre che vano – sempre più spesso infatti cerchiamo da quel che leggiamo soltanto di essere confermati in quel che già crediamo – risulterebbe arido, ultimamente inutile alle questioni che realmente appassionano il nostro cuore. Per questo è bene dire anzitutto che Francesco nel compiere quest’atto non si è mosso per un’esigenza ideologica, per allineare la Chiesa alle logiche progressiste e liberali dell’Occidente, ma si è mosso per me, si è mosso per noi: con una decisione apparentemente scontata per la mentalità contemporanea, egli ha voluto riaffermare con forza quanto il valore di ogni vita, di qualunque vita, sia irriducibile agli errori e alle scelte che quella vita ha compiuto.
Certamente ognuno con le proprie decisioni produce delle conseguenze, e quelle conseguenze comportano precise responsabilità, ma niente è mai definitivamente perduto: tutto può essere recuperato, salvato. È il mistero immenso della Misericordia quello che risplende in quest’atto di Bergoglio, desideroso non di superare le logiche del passato, ma di condurle alla loro ultima verità: la teologia della grande tradizione della Chiesa ha sempre voluto affermare la priorità che l’uomo rappresenta per Cristo, arrivando ad affermare che Cristo preferirebbe interrompere il nostro cammino terreno piuttosto che vederci per sempre ostaggio del male che abbiamo compiuto. Questa verità, che permane in eterno nel cuore della fede, oggi è illuminata dall’evidenza che è possibile offrire all’uomo un cammino di espiazione del proprio male che gli permetta – senza interrompere la traiettoria dell’esistenza – di diventare consapevole di quanto ha fatto, di sentirne tutto l’orrore, fino a desiderare di rimediare, di tornare a coltivare il bello e il buono.
Non importa quanto sbagliamo o come sbagliamo: c’è Qualcuno che è sempre disposto a rischiare su di me, a ricominciare da me. L’ultima parola sulla mia storia, su tutta la storia, è allora misericordia, è amore gratis. Adesso Francesco ha trasformato questa precisa coscienza della fede in un giudizio tale per cui non esiste più niente che gli uomini possano addurre a motivo valido per uccidersi, per darsi la morte. Ogni vita, la mia vita, è un continuo dono alla mia libertà. Non c’è alcunché che possa fermare questo dono, nemmeno l’orrore di quello che dico e che di quello che faccio. E questa, al di là di tutto, è davvero il Vangelo, è davvero una buona notizia. Finalmente anche per me.