«Non è nella mia indole maltrattare le persone e gli animali». Così Reinhold Thurne, l’imprenditore altoatesino arrestato per sequestro di persona e tortura: ha rinchiuso una donna per due settimane in una cassa di plastica verde. Quano è comparso di fronte al gip per la convalida dell’arresto è rimasto in silenzio, ma ha depositato un memoriale per difendersi. «Son stato io a metterla lì dentro, m’ha rovinato l’azienda», aveva detto ai carabinieri quando li ha visti nel suo meleto, come riportato dal Corriere della Sera. Voleva «dare una lezione» alla donna che lo «stava facendo diventar matto». Le ricerche della bracciante polacca di 44 anni erano partite dopo la segnalazione dei figli, che avevano spiegato di non riuscire più a contattarla dalla vigilia di Ferragosto. Proprio il 14 i militari erano intervenuti su richiesta della donna che aveva detto di essere stata aggredita dall’imprenditore, con cui aveva una relazione da 10 anni. Poi però si era rifiutata di denunciarlo. In ospedale ha raccontato di essere stata legata e imbavagliata perché si era lamentata con l’amante-titolare delle condizioni in cui faceva lavorare la sorella maggiore. Piangi, lamentati pure. Tanto qui non ti sente nessuno. E se muori, ti buttiamo nel lago», le dicevano durante il suo sequestro. (agg. di Silvana Palazzo)



DIECI ANNI DI VIOLENZE E ABUSI

Una mela e una bottiglietta di acqua al giorno: è così che ha vissuto per 14 giorni una donna di 44 anni sequestrata nel veronese dal compagno, un imprenditore di Bolzano, Reinhold Thurner. Poi l’ha chiusa sempre per due settimane in una cassa per la raccolta delle mele larga circa un metro, lasciata sotto il sole cocente, nel territorio di Sommacampagna. Non solo: le ha chiuso a bocca con del nastro adesivo e legata, in pratica sepolta viva nella bara di plastica, aiutato da un suo amico. Alla fine la donna è riuscita a farsi sentire da alcune persone che stavano tagliando l’erba lungo la A4, poco distante ed è stata liberata. La donna, di origine polacca, subiva da almeno dieci anni le violenze sconsiderate del suo uomo, ma aveva sempre taciuto. L’ultimo episodio è il frutto di una allucinante funzione per aver osato reagire all’imprenditore che così ha voluto punirla. La polizia ha anche scoperto che nell’azienda lavoravano dieci braccianti, tutti in nero. Adesso lui e il suo amico sono in carcere (Agg. Paolo Vites)



PUNITA PER AVER REAGITO

Un incubo durato due settimane, quello vissuto da una donna polacca di 44 anni, sequestrata dal suo amante, un imprenditore originario di Bolzano, a Sommacampagna, nel Veronese, e tenuta imprigionata in un cassone per la frutta. Una storia a dir poco inquietante con l’uomo che a quanto pare avrebbe beneficiato della collaborazione di un complice, un connazionale della vittima di 32 anni, che avrebbe aiutato l’agricoltore ad imprigionare in quella cassa verde di plastica destinata a contenere le mele quel “carico umano”, tappando anche la bocca della donna, per evitare che lanciasse l’allarme, con il nastro adesivo. Un’esperienza horror, con la donna protagonista suo malgrado di un film tremendo: provvista soltanto di un lenzuolo per coprirsi e per questo, come riportato dal Corriere, esposta all’afa africana e agli acquazzoni che negli ultimi giorni hanno sferzato il Veronese. (agg. di Dario D’Angelo)



AGUZZINO GIA’ DENUNCIATO PER VIOLENZA SESSUALE SU MINORENNE

La 44enne polacca di cui ancora viene tenuta nascosta l’identità dagli inquirenti, è ricoverata sotto choc in ospedale nel Veronese dopo il sequestro di persona subito e le torture, da lei denunciate, contro l’aguzzino imprenditore agricolo. Secondo quanto riportato dal Gazzettino, tra l’altro, emerge un dato inquietante sul passato dello stesso manager-amante: pare che circa dieci anni fa, scrivono i colleghi della cronaca, l’uomo è stato denunciato per violenza sessuale nei confronti di una minorenne sempre nell’area di Bolzano, dove è originario l’imprenditore agricolo. Intanto emergono alcuni dettagli sul complice ricercato dopo la denuncia della donna segregata nel cassonetto della frutta: «i carabinieri hanno provveduto a denunciare un complice dell’uomo, un polacco di 32 anni suo collaboratore agricolo, che lo ha aiutato a imprigionare la vittima», rilanciano ancora dal Gazzettino tra le ultimissime novità sull’ignobile caso di cronaca a Sommacampagna. (agg. di Niccolò Magnani)

MISTERO SUL COMPLICE

Un incubo durato due settimane e concluso, per fortuna, martedì mattina senza che l’aria potesse mancare definitivamente dentro quel container della frutta usato come luogo di tortura e sequestro: per T.R. imprenditore originario di Bolzano ora le cose si mettono male, con durissime accuse e una testimonianza che lo inchioda alle sue, folli, responsabilità. Il mistero resta sul possibile complice che potrebbe avere – anzi, ha – aiutato il manager nel richiudere la segretaria polacca, un tempo amante dello stesso imprenditore. Nel frattempo, per l’uomo di 53 anni si sono aperte le porte del carcere veronese di Montorio e gli inquirenti starebbero interrogando i suoi dipendenti e tutta la cerchia di conoscenti dell’aggressore per provare a scovare il complice e assicurare anche lui alla giustizia. Sul motivo per cui si è arrivati a tanto, però, non vi sono novità: la follia di un sequestro, tra l’altro così alla luce del sole, ancora non ha un vero e proprio “movente” che vada oltre la “semplice” litigata con l’ex amante. (agg. di Niccolò Magnani)

ORRORE A SOMMACAMPAGNA

Una donna è rimasta chiusa in un cassone per la frutta per due settimane. Sarebbe stato il suo datore di lavoro, con il quale aveva avuto una relazione, a segregarla lì il 14 agosto. Le portava bottigliette d’acqua e ogni tanto del cibo per sopravvivenza. L’incubo di una polacca di 44 anni si è verificato a Sommacampagna, in provincia di Verona. È durato fino a martedì mattina, quando gli operai che stavano tagliando l’erba ai lati dell’autostrada Brescia-Padova hanno sentito lamenti provenire dai filari di meli oltre il reticolato. In fondo a uno di essi c’era una pila di casse di plastica accatastate, grandi circa un metro cubo ciascuna e solitamente usate per le mele. L’ultima, quella più in basso, si muoveva. Gli operai hanno allora allertato subito le forze dell’ordine che sono accorse sul posto. Quando sono arrivati gli agenti della Stradale di Verona Sud e i carabinieri di Villafranca, hanno trovato la donna, rannicchiata e terrorizzata.

LITIGA CON L’AMANTE E LA RINCHIUDE IN UN CASSONE DELLA FRUTTA

La vicenda è stata ricostruita dal Corriere del Veneto. La donna, madre di due figli, faceva da anni la spola tra Varsavia e Verona per lavorare nell’azienda agricola di un imprenditore italiano, originario di Bolzano. Secondo il racconto della donna, sarebbe stato proprio lui a rinchiuderla, al culmine di una lite, nel cassone, nelle campagne ai confini con l’autostrada Milano-Venezia, nelle vicinanze di Sommacampagna. Il cellulare e la borsa della 44enne sono stati ritrovati a casa dell’imprenditore, che è stato rintracciato e arrestato dai Carabinieri di Villafranca di Verona e dalla Polizia Stradale con l’accusa di sequestro di persona e tortura. Ma l’uomo non avrebbe fatto tutto da solo. Nella sua testimonianza, la donna ha fatto anche riferimento ad un’altra persona, un collaboratore dell’imprenditore, che lo avrebbe aiutato ad imprigionarla. Il suo incubo è per fortuna finito grazie alla segnalazione degli operai che lavoravano nei pressi dell’autostrada.