Il nostro corpo grande è l’Italia. Vedere quell’immagine di una colonna gigantesca di fumo, vapori, tenebre. Sapere che essa è scaturita, gigantesca oltre ogni immaginazione, da un luogo dove passiamo sempre, in cui abbiamo sostato in code noiose. Tutto questo lo avvertiamo come se fosse esplosa l’aorta di quel corpo che è l’Italia. C’è uno sgomento che non se ne va con la notizia successiva del tg sui litigi Twitter tra Salvini e Di Maio. Non distraiamoci. Sarà il caso per una volta di ascoltare questo battito accelerato nel petto, prendendolo sul serio. Come?



Il disastro di Bologna, l’esplosione del Tir, il crollo di un ponte. I morti, ecco i nostri fratelli deceduti, feriti. Tutto questo si presta a due titoli simmetrici e opposti. 1: cronaca di una tragedia annunciata; 2: fattori impensabili, imponderabili, crudeli di cui gli uomini sono vittime innocenti.

Sono veri e falsi entrambi i titoli. 



Le ragioni del titolo numero uno sono lampanti. Che esistano responsabilità è ovvio. Di certo c’è stata imprudenza, inosservanza delle regole di qualche singolo; in aggiunta, si potrebbe anche dar colpa al macrosistema italico del trasporto delle merci, per cui si fa tutto su gomma, e gli autisti sono sfruttati, non c’è educazione stradale, eccetera. Dunque: tragedia annunciata, e via con la caccia ai colpevoli a più livelli.

E però questo rogo è come un infarto devastante che fa crollare una brava persona a terra (siamo al titolo numero 2). Certo era meglio che il paziente non fumasse, mangiasse meno, avesse ascendenze di parenti più sani di cuore. L’infarto si spiega così. Ma è comunque qualcosa che accade, proprio in quel momento, in quel luogo: noi non possiamo dominare le circostanze. Esiste una mano nella storia. Nelle storie grandi e in quelle piccole. E non riusciremo mai a venirne a capo. Lo sappiamo bene, lo sanno anche i positivisti atei, che la pretesa di ridurre tutto a una spiegazione chimico-fisica-psicologica-morale fa fiasco, è una menzogna ridicola.



Dai che, senza ammetterlo, lo pensa anche il collega o il vicino di spiaggia cinico e fintamente indifferente che buttarla sul tecnico e sul parere degli esperti, esaurendo così la faccenda, magari con l’aggiunta di doverosi avvisi di garanzia per disastro colposo o omicidio stradale, sarà anche giusto, come no? Ma quella colonna di fumo e morte non accetta di scemare con l’uso dell’idrante multidisciplinare. È un espediente patetico per esorcizzare il segno che è per tutti noi quella nuvola tremenda di vapore acre, carico di dolore, di terrore apocalittico per chi era lì, ma di spavento e desolazione anche per chi la guarda da casa. Non è umano nasconderci dietro una relazioni di periti e giuristi.

Guai se ci si limitasse a far emergere domande sul destino. Guai a tenere i due ambiti separati. Quasi che ci fosse un’intercapedine di acciaio a tenere divise le analisi dei periti e la considerazione sul mistero che accompagna sempre le circostanze, anche quelle più banalmente spiegabili. Le domande sul perché non sono “a parte” rispetto alle cause e ai rimedi tecnici. Ma danno un altro impeto, un’altra cura nel guardare a queste tragedie e a come evitarle in futuro. I medici bravi curano le valvole malandate di quel muscolo al centro del petto, ma sono tanto più capaci e bravi perché sanno che quella pompa appartiene a chi è atteso a casa.

C’è un meraviglioso libro di Thornton Wilder che si intitola Il ponte di San Louis Rey. Un frate indaga sul perché da quel ponte sospeso e spezzato sopra Lima siano cadute come formiche proprie quelle persone. Scopre che tutto si regge sull’amore, su una legge che costruisce sul male e sullo strazio un destino buono. Io non so arrivare a tanto. Io so di certo però che non siamo formichine che bruciano a Bologna o in Iraq o in Indonesia per capriccio del caso o di un dio annoiato. Nella storia, anche se pare strano scriverlo in un articolo, dal seno di una ragazza è venuto il Salvatore. La cosa più razionale e sensata è esaminare questa ipotesi.