Quando Massimo Franco — sul Corriere della Sera di ieri — paventa “il rischio che il conflitto aperto fra il Papa e i suoi detrattori più irriducibili possa aggravarsi”, in fondo non appare così lontano da Emiliano Fittipaldi che, domenica sull’Espresso, ha titolato su “Francesco papa fragile, anche per errori suoi”. Può sorprendere che un editorialista cattolico del Corriere abbia posizioni convergenti con un giornalista d’assalto anti-cattolico, finito alla sbarra della giustizia vaticana per le fughe di veleni-Vatileaks, ma tant’è; anzi: la chiusa del corsivo è eloquente nel dirsi dubbiosa “che la nuova strategia riuscirà a placare le polemiche”, potrebbe anzi “consegnare l’immagine di una Chiesa divisa come nel 2013, anno delle dimissioni di Benedetto XVI. In fondo i nemici di Francesco vogliono dimostrare che il conclave che lo elesse non è mai finito”.



Un cronista come Franco — e ci auguriamo anche Fittipaldi — concorderebbe nel sollecitare, a questo punto, “fuori i nomi”. Passi (forse) avvalersi del segreto professionale e non rivelare l’identità dei “corvi-mandanti” che costrinsero Papa Benedetto cinque anni fa a una rinuncia senza precedenti (ma anche senza spiegazioni, anzi: senza che nessuno sollecitasse spiegazioni, neppure Franco e Fittipaldi). Ma sollevare la questione di un “conclave mai finito” appare oltre ogni obiettività giornalistica. 



Il conclave del marzo 2013 si è concluso — secondo ricostruzioni mai smentite — al quinto scrutinio, con uno score di 90 voti favorevoli a favore del cardinale Bergoglio su 115 votanti in Cappella Sistina. Un risultato che si è confrontato con gli 84 voti su 115 raccolti dal cardinale Ratzinger al quarto scutinio del conclave 2005. Entrambe le elezioni, sulla carta, sono apparse più smooth di quella tribolatissima di Paolo VI — ormai Santo — nel 1963 (56 voti su 81, al sesto scrutinio) o di quella lenta di San Giovanni XXIII (36 su 51 all’undicesimo nel 1958) o perfino di San Giovanni Paolo II (99 su 111 ma solo alla fine del secondo giorno e non prima della drammatica elisione fra i due cardinali italiani Siri e Benelli). Perché il conclave 2013 cinque anni dopo sarebbe ancora “non finito”? Anzi: perché 13 anni dopo il conclave 2005 — nel quale l’arcivescovo di Buenos Aires aveva già registrato quaranta conclavisti a suo favore — c’è ancora chi sembra non voler riconoscere il pontefice “venuto dalla fine del mondo”? Fuori i nomi.



Può darsi che a scuotere davvero la Chiesa nel profondo non sia, alla fine, il terribile scandalo della pedofilia oltre Atlantico. Può darsi che quelli che Franco accredita come “nemici” del Papa — desiderosi secondo Fittipaldi di correggere i suoi presunti “errori” — siano molto più vicini: che premano sul Papa dall’Europa per entrare nel cosiddetto C9, ora che Francesco prepara un rimpasto di tre posti. Può darsi perfino che l’oggetto del contendere sia l’incarico di segretario generale della Cei, vacante da quando monsignor Galantino è stato rimosso e promosso alla guida dell’Apsa. Può darsi, infine, che il problema sia il futuro dei media cattolici della Santa Sede o della Chiesa italiana. Ma di questo sul Sussidiario abbiamo ragionato di recente: ricordando che il Papa del presunto “conclave infinito” ha dato indicazioni fatte e finite.     

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