Stop all’assegno di mantenimento a forfait, trasformato in un assegno suddiviso per capitoli di spesa e pagato, in proporzione al proprio reddito, da entrambi i genitori direttamente per le spese a favore del bambino. Principio della bigenitorialità perfetta, cioè papà e mamma devono destinare lo stesso tempo al minore. Istituzione del piano genitoriale, obbligo di mediazione se i genitori non trovano un accordo e lotta alla cosiddetta alienazione genitoriale. Sono i capisaldi del Ddl sull’affido condiviso che ha iniziato il suo iter in commissione Giustizia del Senato con l’obiettivo di modificare la legge 54/2006. Primo firmatario, il senatore leghista Simone Pillon, avvocato cassazionista ed esperto di diritto della famiglia. Un disegno di legge che ha scatenato polemiche, ma per Pillon “l’obiettivo del Ddl sull’affido condiviso è uno solo: quello di fare gli interessi dei bambini. Non è un Ddl a vantaggio dei papà o delle mamme; anzi, mette al centro il minore e la sua esigenza di non essere costretto a scegliere tra i due genitori”.



Il Ddl abolisce l’assegno di mantenimento a forfait e introduce il principio della bigenitorialità perfetta. Perché questa svolta?

Noi vogliamo fare in modo che le famiglie, anche dopo la separazione, lascino il più possibile inalterata la vita del minore.

Come si raggiunge questo obiettivo?

Per fare questo è necessario che i due genitori che non vivono più insieme si accordino su un piano genitoriale che fotografa la vita del minore prima della separazione, così da garantirne il più possibile la prosecuzione anche dopo la separazione. Ovviamente è necessario che le parti abbiano un buon canale di dialogo, prezioso per il miglior interesse del minore. Se le parti trovano un accordo da sole, in autonomia, quello che decidono va bene: sono infatti persuaso che il superiore interesse del bambino sia deciso in prima istanza solo dai genitori. A quel punto il giudice effettuerà solo un controllo per verificare che non ci sia nulla di palesemente contrario agli interessi del minore e poi omologa l’accordo.



E se invece l’accordo non si trova?

In questo caso il giudice non può più prendere una posizione a favore del padre o della madre, ma deve decidere per tempi paritetici e mantenimento diretto, a meno che non ci siano delle cause palesemente ostative.

Per esempio?

La condotta violenta. Se c’è violenza, guai, non si può applicare l’affido condiviso, così come in caso di falsa denuncia di violenza, perché alla violenza dobbiamo equiparare il purtroppo diffuso fenomeno delle false violenze, che raggiungono in alcuni casi l’80% delle denunce presentate in corso di separazione e che poi vengono archiviate.



È vero che sparisce l’assegno di mantenimento?

L’assegno di mantenimento viene preservato per l’ex coniuge, ovviamente se ne ha diritto, mentre viene eliminata la forma di contribuzione dell’assegno nella decisione del giudice. Le parti, se vogliono, possono ancora concordare un assegno, ma se si arriva davanti al giudice, questi non potrà, salvo determinati casi e comunque a tempo determinato, stabilire un assegno di mantenimento.

Cosa farà?

Stabilirà l’attribuzione, per capitoli di spesa a favore del figlio, a ciascuno dei genitori mantenendo il criterio della proporzionalità. Quindi, se uno dei due genitori guadagna il doppio dell’altro, pagherà il doppio per le spese del figlio.

Non si corre dunque il rischio di penalizzare il coniuge più vulnerabile?

Il coniuge economicamente più debole avrà diritto all’assegno per sé, se ne avrà i requisiti: questo non viene toccato, assolutamente. E poi contribuirà alle spese per il figlio in misura proprizionale ai propri redditi. Se il coniuge è nullatenente e privo di reddito, l’intero carico del figlio graverà sull’altro genitore. Non dovrà però contribuire trasferendo denaro all’ex coniuge, che poi spende per il figlio, ma contribuirà direttamente a tutte le spese per il figlio.

In tutti i casi, sia con separazione consensuale che giudiziale, il Ddl prevede la stesura di un piano genitoriale. In cosa consiste?

Il piano genitoriale è sostanzialmente il progetto educativo che i genitori hanno per il figlio.

In concreto?

Che scuola vuole frequentare, che sport vuole praticare, che frequentazioni vuole avere, quali relazioni familiari vuole tenere: tutto quanto un genitore immagina sia bene per il proprio figlio. Nelle coppie che convivono il problema non si pone, perché lo decidono verbalmente di volta in volta, ma quando interviene una separazione è indispensabile metterlo nero su bianco, di modo che, qualora dovessero sorgere delle contestazioni, ci sia già un accordo previo. È un’esperienza che abbiamo mutuato dal Canada, dagli Stati Uniti e dall’Olanda. E soprattutto in Canada e in Olanda sono già obbligatori i piani genitoriali, cioè la coppia che si separa deve scrivere, nero su bianco, tutti i propri intendimenti dal punto di vista educativo. È chiaro che se nel piano genitoriale scrivo che il bambino fa basket, deve continuare a farlo e qualcuno dovra anche pagare il basket, perciò andrà inserito il capitolo di spesa relativo al basket. Una volta calcolato il costo di vita del minore, si andrà a suddividere le voci in base al criterio della proprozionalità. Per qualche papà ci sarà pure la sorpresa che dovrà spendere di più, però avrà la certezza che ogni euro sarà speso per il bambino.

Ma, secondo lei, non c’è il rischio che si creino nuove pretese e nuove occasioni di litigio tra i due genitori “contendenti”?

In realtà abbiamo sperimentato il contrario. E cioè, quando mettiamo i genitori in tribunale a litigare sull’assegnazione della casa famigliare o sull’assegno di mantenimento si litiga per anni. Se noi li mettiamo uno di fronte all’altro, chiedendo “cosa fa vostro figlio” fotografando la vita del bambino oggi, scopriamo che la gran parte delle voci di spesa coincidono, per cui alla fine il giudice, nelle cause giudiziali, avrà semplicemente da valutare le voci discordanti, confrontando i due piani genitoriali. Per tornare all’esempio: se il bambino fa basket, la separazione non è motivo per fargli interrompere l’attività.

Il piano genitoriale viene redatto davanti a un giudice?

No, il piano genitoriale viene redatto dalle parti, insieme quando fanno la consensuale, e poi lo inseriscono nel ricorso per la consensuale; quando invece fanno la giudiziale, ciascuno dei due redige il suo piano e poi i due piani vengono confrontati dal giudice, che deve innanzitutto verificare che abbiano fatto il primo incontro di mediazione. Se lo hanno già fatto, il giudice decide, tenendo le parti del piano genitoriale condivise e andando a decidere solo su quelle che non sono condivise. Se invece le parti, durante la mediazione, trovano un accordo, tanto meglio: il giudice non deve più decidere niente. E omologa l’accordo.

Un punto importante del Ddl è la volontà di combattere l’alienazione genitoriale. Non c’è il rischio di obbligare i minori a stare in situazioni che non accettano o che sono pregiudizievoli o difficili?

Intanto inquadriamo la situazione dell’alienazione. Alcuni dicono che non si può parlar di alienzaione e usano il termine straniazione o, ancora meglio, rifiuto di uno dei genitori. Il rifiuto dei genitori non è un comportamento naturale dei bambini, ma è conseguente a una situazione peculiare, che può essere data dalla violenza di uno dei due genitori. Ma se il genitore è violento, verrà allontanato. Lo stesso comportamento del bambino, però, potrebbe essere indotto, e purtroppo accade molto spesso, dalle false denunce di violenza dell’altro coniuge, quando indottrina il bambino ingenerando in lui il rifiuto dell’altro genitore. Il comportamento alienante deve essere sanzionato come quello violento: tanto è grave picchiare la moglie davanti al figlio, quanto è grave dire al bambino “tuo padre mi ha violentato” se questo non è vero. Quindi le due fattispecie andranno trattate allo stesso modo, cioè con la perdita della responsabilità genitoriale. E sarà il giudice a valutare il tutto.

Ma in questa riforma chi ascolta la voce dei minori?

Il giudice. Tant’è che l’ascolto del minore è previsto e ne abbiamo volutamente migliorato le modalità.

In che modo?

In primo luogo, l’ascolto del bambino lo fanno i genitori. Se i genitori trovano un accordo, non serve poi che il giudice ascolti il bambino, perché hanno già valutato e concordato cio che è per il suo bene. Se c’è conflittualità, è il giudice a stabilire l’ascolto del minore, ma deve essere videoregistrato, gli avvocati non possono intervenire e lo stesso giudice deve essere assistito da un ausiliario esperto in pedagogia e psichiatria infantile, capace cioè di interloquire con i minori. A tutto questo si aggiunga che abbiamo deliberatamente vietato domande volte a influire sulla lealtà verso l’uno o l’altro genitore, tipo: “ma tu vuoi andare dal papà o dalla mamma?”. Oppure: “preferisci il papà o la mamma?”. Sono domande assolutamente bandite dal procedimento.

Si aspettava così tante reazioni e critiche al suo Ddl?

Le reazioni arrivano dall’establishment. Sto ricevendo centinaia di mail di mamme e papà che ci implorano di andare avanti. Poi è chiaro che qualche avvocato vede vacillare le proprie parcelle da 40mila euro di acconto e conseguentemente si scagli contro il Ddl.

(Marco Biscella)