A turno, prima la madre e poi il padre di Federico Aldrovandi hanno risposto alle parole del questore di Reggio Emilia, Antonio Sbordone, che nel corso di una intervista rilasciata a Il resto del Carlino ha detto che, a proposito della morte del ragazzo nel 2005 per mano di alcuni agenti, “si sarebbe potuta evitare con l’uso del Taser e sarebbe ancora vivo”. Frase che ha scatenato immediatamente la replica e che probabilmente il questore ha pronunciato anche perché proprio il centro emiliano è uno di quelli scelti per la sperimentazione della cosiddetta pistola elettrica. E dopo i familiari di Aldrovandi, a replicare a Sbordone è stato anche Fabio Anselmo, il legale che li ha seguiti durante tutta la lunga vicenda processuale conclusasi in Cassazione con delle condanne. “Il questore dunque ammette che Federico è morto di violenza” è il suo commento, ricordando che si tratta di un fatto nuovo dato che tali ammissioni fino ad ora erano state fatte solamente dal capo della Polizia Manganelli. E si accoda a quanto detto dalla madre di Federico, che ha voluto ribadire come suo figli sia “morto di botte”. Infine, Anselmo si è concesso anche una battuta sul taser, spiegando di avere delle perplessità sul suo uso dato che “ha fatto già numerose vittime”. (agg. di R. G. Flore)



LA MADRE, “MORTO DI BOTTE”

Torna d’attualità la triste vicenda di Federico Aldrovandi, gravissimo fatto di cronaca nera risalente al 25 settembre del 2005, quando il 18enne morì dopo aver incontrato i quattro agenti Paolo Forlani, Monica Segatto, Enzo Pontani e Luca Pollastri. Il gruppo venne condannato in primo grado a luglio del 2009, con gli agenti ritenuti colpevoli di eccesso colposo per omicidio colposo: picchiarono Aldrovandi con dei manganelli e lo lasciarono a terra rantolante, ammanettato, mentre lo stesso chiedeva aiuto. Una sentenza a cui si arrivò dopo anni di indagini, perizie e controperizie, con l’aiuto anche di molti cittadini di Ferrara e del vecchio sindaco della città emiliana. Nel giugno del 2012 la cassazione chiuse definitivamente la vicenda, confermando le condanne a 3 anni e 6 mesi, anche se tre delle stesse vennero coperte dall’indulto. (aggiornamento di Davide Giancristofaro)

E’ POLEMICA DOPO LE PAROLE DEL QUESTORE

Polemica sulle parole di Antonio Sbordone, questore di Reggio Emilia, secondo il quale, come dichiarato in una intervista al Resto del Carlino, se ci fosse stato il taser Federico Aldrovandi sarebbe ancora vivo. Non ci sta la madre del giovane 18enne di Ferrara morto nel 2005 durante un controllo di polizia. Patrizia Moretti, a Repubblica.it, ha spiegato chiaramente cosa avrebbe portato alla morte del giovane figlio: “Federico è morto perché hanno continuato a pestarlo, schiacciarlo e a dargli calci nella testa quando era già stato immobilizzato e stava chiedendo aiuto”. Un paragone, quello usato per citare il taser, che a detta della donna sarebbe non solo azzardato ma privo di senso. La donna ribadisce come Federico fosse alto 1,75 per 60 kg, tutt’altro che un “energumeno”, dunque. Ad intervenire anche Fabio Anselmo, legale della famiglia Aldrovandi e che l’ha seguita per tutti e tre i gradi di giudizio: a sua detta il questore con le sue parole “ammette che Federico è morto di violenza”. Un’ammissione certamente “nuova” e che finora era stata avanzata solo dall’ex capo della polizia Manganelli che chiese scusa alla famiglia. “E’ morto di violenza, come dicono le sentenze passate in giudicato”, ha aggiunto il legale che ha espresso le sue perplessità in merito all’uso del taser. (Aggiornamento di Emanuela Longo)

QUESTORE: “COL TASER SAREBBE VIVO”

Federico Aldrovandi, il questore di Reggio Emilia: “col taser sarebbe vivo”, arriva la replica dei genitori del diciottenne di Ferrara morto nel 2005 nel corso di un controllo di polizia. La vicenda la ricordiamo amaramente tutti, con quattro militari che sono stati condannati a tre anni e sei mesi di reclusione (tre anni cancellati dall’indulto) per eccesso colpo nell’uso legittimo delle armi. Antonio Sbordone, questore di Reggio Emilia, nel corso di una intervista al Resto del Carlino ha affermato a proposito dell’utilizzo dei manganelli da parte delle forze dell’ordine: “Guardi, so che l’argomento è delicato. Ma penso che sia un esempio giusto. Io ho visto cosa è accaduto a Ferrara dopo il caso Aldrovandi, anche se non ero io il questore presente quell’anno. Questo ragazzo, se ci fosse stato il taser, sarebbe ancora vivo. Per fermare un giovane alto 1 metro e 90 agitatissimo hanno dovuto usare anche i manganelli”. Parole che non sono passate inosservato…

LA REPLICA DEI GENITORI DI FEDERICO ALDROVANDI

Raggiunto dai microfoni di Repubblica, il padre di Federico Aldrovandi ha replicato immediatamente: “Mi viene da pensare che quella maledetta mattina il taser non sarebbe stato da usare su Federico, ma su chi lo stava uccidendo ‘senza una ragione'”. Continua Lino Aldrovandi: “Ogni volta è una ferita di sangue innocente che si riapre in tutta la sua devastante realtà. Federico quella mattina non aveva commesso alcun reato e nulla di male, non so perché gli abbiano fatto tutto quel male, ma l’hanno fatto e lui ce l’ha raccontato con il suo cuore spezzato di 18 anni. Forse qualcuno sarebbe meglio si andasse a rileggere quanto ormai si è scritto processualmente dall’ottobre del 2007 (inizio del primo grado di giudizio) fino al giugno del 2012 (sentenza definitiva di condanna) e forse capirebbe. Di un fatto grave dove la stessa polizia indagò su sé stessa creando quasi un corto circuito”. Dure, inoltre, le parole della madre Patrizia Moretti: “Federico è morto perché hanno continuato a pestarlo, schiacciarlo e a dargli calci nella testa quando era già stato immobilizzato e stava chiedendo aiuto. Mi dispiace che si possa giustificare uno strumento pericolosissimo come il taser con questo paragone che non ha senso”.