“A che vale la vita, se non per essere donata?”, scriveva Paul Claudel nell’Annuncio a Maria, Ma chi legge più Claudel oggi? Chi riesce ancora a pensare che la vita serva per essere donata? Per realizzarsi serve, la vita! 

O forse no. A ricordarci che la vita serve per essere donata arriva, qualche volta, un fatto. Come quello accaduto l’altro giorno a Conselve, provincia di Padova. Nella cantina di un edificio si sviluppa un incendio. Angelo, 42 anni, si affaccia alla finestra, chiede aiuto. Nessuno sente. Angelo rientra in casa, il fumo comincia a invadere l’appartamento. Potrebbe ancora farcela a scappare, Angelo. Ma in casa c’è la mamma. Mamma Rosa è a letto. Ha 89 anni. Non si capisce — non possiamo sapere — se è malata, non è in grado di muoversi, è semplicemente stordita dal fumo. Sta di fatto che Angelo non riesce a muoverla, a riscuoterla, a spostarla. E allora che cosa fa? Si sdraia di fianco a lei. La abbraccia. Chissà, forse pensa di poterla proteggere. O forse, chissà, vuole solo dirle quanto le è grato. Perché è affetto da sindrome di Down, Angelo (oggi non ci sarebbe, ormai con la diagnosi prenatale il problema dei Down è quasi risolto, siamo progrediti, noi). Rosa ha badato a lui per tutta la vita. E oggi lui vuole badare a lei. I soccorritori li hanno trovati così, abbracciati. “A che cosa vale la vita, se non per essere donata?”



PS: Una coincidenza, nient’altro che una coincidenza. I due gemelli sardi uccisi dalla mamma esasperata di cui ci ha raccontato l’altro giorno Cristiano avevano quarantadue anni…

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