I palazzi imperlati di pizzi bianchi e lenzuola, i balconi strapieni, i visi increduli. Piazza Anita Garibaldi, sul limite di Brancaccio, era affollata, il civico 4 e il 5 pullulavano di anime. Il sole infuocato del pomeriggio palermitano batteva sul luogo dove 25 anni fa padre Pino Puglisi crollò a terra, freddato da un colpo di pistola, con le labbra piegate per sempre in un sorriso. Arrivava un pontefice per la prima volta, nel quartiere del martire. Arrivava Francesco per sostare davanti alla croce inchiodata al pavimento. Per pregare ed ascoltare. E’ stato il momento più intenso della giornata mediterranea del papa argentino, nella periferia di quella Palermo che ancora deve metabolizzare il suo passato da madre sciagurata, sempre in bilico tra la bella tentazione del cambiamento e la vischiosa mafiosità che si beve con il latte.



Sul luogo del supplizio di padre Pino Puglisi, pastore buono e prete tutto d’un pezzo, si cercava lo scatto da consegnare alla cronaca e poi alla storia. Francesco era arrivato lì, direttamente dalla folle officina di amore e accoglienza che è la missione “Speranza e Carità”, fondata da Biagio Conte, uno che se lo vedi lo prendi per pazzo. Un pranzo con 1500 poveri: detenuti, senza fissa dimora, padri separati, famiglie in difficoltà, immigrati e miseri di ogni genere. 



Ma i passi a Brancaccio hanno segnato un salto di emotività, consentendo a Bergoglio di immergersi nella memoria e nella vita di padre Pino, nella piccola casa popolare, due stanze e cucina, dove aveva abitato per anni e dove tutto, ancora oggi, racconta di lui. Le foto in bianco e nero, sui mobili lucidi del salotto buono, lo studio con il telefono che squillava in continuazione, i libri, la scrivania in formica, la stanza con il lettino che ogni sera bisognava tirare giù, per fare spazio. Il mondo onesto di Puglisi, quella quotidianità fatta di servizio, passi veloci e orecchie a sventola, dono bizzarro del Padreterno per rendere subito simpatico 3P. 



Per Francesco il modo per entrare in contatto con l’uomo che nel giorno del suo compleanno, inaugurato il 15 settembre 1993 con la corsa in centro per battagliare con le istituzioni, e proseguito con le ore a scuola, le celebrazioni, la parrocchia e gli amici, era tornato di corsa a casa, prima di spegnere ancora candeline, incontro alla semiautomatica calibro 7,65 che doveva trapassargli la nuca. Un appuntamento con il destino. E con Cristo. Per dare il sangue e la vita in cambio della redenzione del suo quartiere. 

La visita di Francesco è stata il pellegrinaggio silenzioso che Palermo aspettava, dopo le parole con cui nella mattinata caldissima del Foro Italico, a due passi dal mare, aveva ricordato padre Pino, il chicco di grano caduto sui lastroni di Piazza Anita Garibaldi, e morto per dare la vita. Padre Pino “non viveva per farsi vedere, non viveva di appelli anti-mafia — ha detto Francesco — e nemmeno si accontentava di non far nulla di male, ma seminava il bene, tanto bene”. Padre Pino Puglisi. L’uomo e il prete che Francesco ha indicato ai palermitani e all’intera Sicilia, con la sua semplicità, gli anni di servizio tra rischi e minacce, il confronto continuo con le famiglie mafiose che dominavano Brancaccio. Ed è nel suo nome che il Papa ha ripetuto quella che è un’evangelica evidenza. “Chi è mafioso non vive da cristiano”. Una cosa quasi ovvia che in Sicilia ha faticato ad imporsi. 

Così, 25 anni dopo il grido di Giovanni Paolo II nella Valle dei templi, e la supplica di padre Pino Puglisi nell’ultima omelia domenicale, Francesco si è rivolto ancora agli uomini e alle donne di mafia. Chiamandoli “fratelli e sorelle”. Chiedendogli di cambiare, per loro stessi prima che per la Sicilia. Per il loro cuore. Niente di più lontano dai cortei e dalle passerelle di certa antimafia. Molto prossimo all’azione educatrice di padre Puglisi, che a casa dei Graviano, i mandati della sua esecuzione, era andato da prete per benedire la salma della suocera. Aveva fatto il parroco, amministrando i sacramenti e consolando. Ma i soldi no, non li aveva accettati, lasciando sul tavolo le 50mila lire che gli erano state offerte. La misericordia lo faceva entrare in casa dei mafiosi, ma il senso di giustizia non gli faceva accettare i loro soldi.

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