Arriva una storia incredibile. Una ragazza di quindici anni della provincia di Bergamo scambia per mesi messaggi erotici e proprie foto osé con un uomo protetto da nickname. Un giorno decidono di incontrarsi e scoprono di essere padre e figlia. Il risultato è che la ragazza subisce un trauma dal quale uscirà — se uscirà — con grande difficoltà e la famiglia si sfascia. Nel leggere questa notizia mi viene da non crederci e da riferirla con tutti i condizionali e i congiuntivi possibili. Però la fonte primaria è attendibile. Il fatto è stato raccontato in occasione dell’inchiesta dell’Aga, l’Associazione genitori antidroga di Pontirolo Nuovo, dedicata al tema delle nuove dipendenze tra cui primeggia il cyber sex. Il primo quotidiano a parlarne è stato Bergamonews e, da lì, è arrivato a tutte le principali testate.
Sembra di assistere ad una versione moderna dell’Edipo re, del personaggio della tragedia greca che, pur riuscendo a risolvere l’enigma della Sfinge, non riesce poi a capire la sua vita e arriva a uccidere il proprio padre e a sposare la propria madre. Nella tragedia greca Edipo alla fine si caverà gli occhi e forse questa sarebbe la prima morale da trarne: se questi sono i risultati del web prepariamoci al peggio e “caviamoci gli occhi” cioè usiamo il web con mille restrizioni.
D’altra parte, però, questo caso ci dice una verità profondissima. Che la cosa più difficile da vedere è quella che si ha sotto gli occhi. Se riflettiamo un attimo sul fatto, ci rendiamo subito conto di quanto sia agghiacciante per la dose di verità che contiene. La mia prima reazione, di fronte alla notizia è stata di non crederci: non dimentichiamo, infatti, che la figlia mandava al padre foto osé “di lei”. Di se stessa, cioè, della figlia. Lei non riconosceva il padre perché era protetto da nick ma come poteva il padre non riconoscere la figlia? Avrà avuto una mascherina, ho pensato: si sarà camuffato il volto. Certo. Ma è possibile che un padre non riconosca il corpo della propria figlia? Il corpo, dico, non il volto. Mi si sono ricordato di Giulio Regeni che, torturato tanto da divenire irriconoscibile, venne riconosciuto dalle mani. E se non erano le mani erano altre parti del corpo ma non certo il volto, perché deturpato dalle botte. Chi ha lo stomaco forte cerchi su youtube e troverà i racconti dei genitori di Giulio che saranno più precisi dei miei ricordi: ma certamente non lo riconobbero dal volto ma dal resto del corpo.
Ora quindi, per il papà della 15enne, il corpo della figlia era qualcosa di sconosciuto. La scena che dobbiamo immaginare è quella di un padre che guarda sullo schermo del proprio computer le foto osé della propria figlia, e dopo qualche minuto, esce dalla stanza, la trova in corridoio e le dà il bacio della buonanotte. Senza riconoscerla. Il problema è il web o lo sguardo? Il problema è internet o il mio occhio? E allora è chiaro perché una ragazza di 15anni cerchi su internet l’affetto (sbagliato, orribile, tutto quello che si vuole) di un uomo della stessa età di suo padre: perché suo padre non la vedeva. Lei era davanti ai suoi occhi ma lui non la vedeva. Forse, allora, la colpa non è di internet ma degli occhi che non ci sono. Del cuore che non c’è. Del bisogno di scappare da una solitudine soffocante, finendo nelle braccia della convinzione che solo non essendo sé stessi si può essere amati.