Alla fine, senza grandi cambiamenti almeno nei punti più contestati relativi alle limitazioni all’uso delle informazioni protette dal diritto d’autore, la nuova direttiva in materia di Copyright ha superato lo scoglio dell’approvazione parlamentare europea. L’Unione prosegue così nel suo ambizioso piano di regolamentare Internet. Oltre alle norme sul diritto d’autore hanno visto la luce il Regolamento europeo in materia di Protezione dei dati, la Direttiva Nis per la sicurezza delle infrastruttura critiche, entrambi già in vigore, ed entro il 2019 pare certo verranno licenziati il Cyber Security Acts, con la regolamentazione delle certificazioni di sicurezza dei prodotti e sistemi Ict, e l’E-privacy, che andrà ad aggiornare la direttiva varata per la prima volta nel 2002.



Il tentativo di Bruxelles parte dal presupposto indiscutibile che le informazioni siano il denaro del nuovo millennio, e il destino dei singoli come quello degli Stati da esse dipende. Di conseguenza appare indispensabile un apparato di norme molto ampio, ma esiste il rischio che le regole si scontrino con la realtà di un mondo in cui l’esistenza stessa di specifiche limitazioni non è stata “filosoficamente” prevista. Quando Internet è stata concepita, era per degli obiettivi molto semplici: permettere di conservare e condividere informazioni. All’epoca non era contemplata l’ipotesi che qualcuno facesse un bonifico o acquistasse una lavatrice. Il concetto di sicurezza era ridotto ai minimi termini: se potevi accedere ai sistemi eri autorizzato ad avere piena disponibilità delle risorse. Allo stesso modo non era contemplata l’ipotesi che la Rete fosse globale perché il principale sponsor erano i militari: idealmente ogni Stato avrebbe potuto costruirsi la sua piccola Internet, ma il controllo sarebbe stato “di tipo geografico” perché essa sarebbe rimasta confinata all’interno dei confini fisici.



Poi la storia ha preso un piega diversa e i militari lo hanno capito tanto da abbandonare già negli anni Ottanta il progetto. Tuttavia le logiche profonde, alla base della tecnologie, sono rimaste le stesse. Il risultato è una rete sovrannazionale e fondamentalmente anarchica e per governarla si dovrebbero superare concetti come quello di giurisdizione che sono alla base di tutti i diritti nazionali e internazionali.

Se tutto questo è vero perché l’Unione europea si sforza di regolamentare qualcosa che non può controllare? Soprattutto, può sperare di avere successo, almeno in termini generali, nel suo tentativo? La prima risposta è semplice: non può non farlo. Internet, per molti versi, ha le potenzialità per minare le fondamenta stesse dell’idea di Stato (la Rete è sovrannazionale e anarchica), di conseguenza ognuno dei membri dell’Unione ha legiferato in materia o lo avrebbe fatto. Se da Bruxelles fossero rimasti in silenzio probabilmente si sarebbe anche persa l’ultima parvenza di “unione”. La seconda questione è più sottile, ma basata su un dato molto più prosaico. Per quanto anarchica e sovrannazionale la Rete è “governata” da pochi operatori. Li chiamano Over The Top e sono Google, Facebook, Amazon, Apple e Microsoft e costoro dovranno rispettare le regole europee. Se non lo facessero finirebbero per essere tagliati fuori da un mercato che vale mezzo miliardo di consumatori (benestanti) e questo è un lusso che nessuno di loro può permettersi.



Tutto sommato l’Unione conta di riuscire a fare applicare le sue norme per questa semplice ragione: scambiare l’applicazione delle regole nella maggior parte dei casi con quello che producono (informazioni) e consumano (sempre informazioni) 500 milioni di cittadini europei.