VILNIUS (Lituania) — Davanti a me ho un palco bianco, sul cui fondale galleggiano sacri cuori di Gesù e arti argentati. Sulle scalinate giganteschi fiori di carta bianca, impilati su esili steli d’acciaio. Una ragazza lituana, con delle improbabili scarpe azzurre, incita le migliaia di ragazzi stretti tra la cattedrale di Vilnius e i palazzi che ne fanno una delle città più incantevoli d’Europa. In una lingua ovviamente a me incomprensibile li invita a contorsionismi impossibili in quella che sembra una versione baltica di Gioca Jouer. E io mi chiedo, a metà di una giornata infinita, iniziata alla 3 del mattino in Italia, come sia possibile che mi ritrovi a 10 gradi, in quel della Lituania, quando solo una settimana fa mi scioglievo al caldo mediterraneo di Palermo, tra Brancaccio e il centro sciccosissimo del teatro Politeama. Ovviamente sempre al seguito del sant’uomo capace di parlare ai ragazzi siciliani come a quelli lituani, passando per i francesi della diocesi di Grenoble-Vienne a cui, in settimana, ha dato persino lezioni di sesso.
Francesco, parroco del mondo, è arrivato nel cuore del Nord Europa. Considerata più o meno frettolosamente periferia, a poco meno di 25 km a nord di Vilnius si situa il centro geografico dell’Europa. Questione di prospettiva. Prima tappa di un pellegrinaggio nel Nord Europa che in quattro giorni gli farà toccare oltre la capitale lituana anche quella lettone, Riga, e infine l’esotica Tallin, meraviglia estone.
Perché volare quassù? In molti se lo chiedono. La risposta più immediata è che ancora una volta ha scelto il confine, la frontiera, una terra che 25 anni fa regalava l’immagine bellissima del Papa polacco, immerso in una foresta di croci. Era il segno di una fede perseguitata, deportata, detenuta ma resistente. Di una fedeltà premiata con il dono prezioso ed esigente della libertà. Francesco viene più che a testare quella conquista, ad incoraggiarla. Dopo gli anni di ateismo di Stato, del calvario del giogo sovietico, la sbornia democratica — come in molti paesi satelliti dell’ex Urss — ha prodotto contraddizioni e crescita economica, ma anche lacerazioni. Come quella che interessa una generazione che non ha mai conosciuto le celle del Kgb a Vilnius, e che forse ha solo visitato distrattamente il “Museo delle occupazioni e lotte per la libertà” che oggi vi trova posto, ansiosa di abbandonare i ritardi culturali e le difficoltà sociali di una nazione in crescita ma ancora invischiata con il passato.
A loro, a questi giovani che hanno sentito parlare del comunismo e del fascismo dai nonni, oppure da qualche amico finito in Siberia, Francesco ha chiesto di innamorarsi non solo della libertà ma anche delle proprie radici, di rimanere attaccati alla terra, ancorati alla propria fede. Ha ricordato il martirio del popolo lituano, già al mattino, davanti allo scenario neoclassico del palazzo presidenziale, nel suo primo discorso con cui ha celebrato “l’anima cattolica” della nazione, quell’identità che ha irrobustito e sostenuto la resistenza, chiedendo però di trarre forza dal doloroso passato per recuperare le proprie radici e mantenere vivo quanto di più autentico e originale vive nel cuore del paese: la tolleranza, l’ospitalità, il rispetto e la solidarietà.
Francesco vede nella Lituania il ponte tra oriente ed occidente europeo, e nei giovani gli ambasciatori di quel dialogo e apertura che ne hanno fatto un luogo dell’incontro e della comunione. Ospitare le differenze è il mandato che consegna nel suo primo giorno in Lituania. Ospitalità verso gli stranieri, i giovani, gli anziani, i poveri. Ospitalità verso il futuro. Memoria, radici, appartenenza ad un popolo. Le chiavi di lettura del suo primo atto da pellegrino sul Baltico.