Il concetto di tragedia espresso da Sofocle scava nei moti dell’animo umano, cerca la spiegazione del dolore psicologico che si attua poi in azioni appunto tragiche. Sofocle rappresenta l’impotenza dell’uomo che di fronte a fatti estremi, dolorosi cambiamenti inaspettati, sceglie il rifiuto radicale. Lo si vede bene in Aiace dove il rifiuto del protagonista si compie nel suicidio. Si tratta, per la mentalità dell’epoca, di un gesto eroico: Aiace ha preso coscienza di un limite inaccettabile, rifiuta di continuare a vivere in quel mondo che non gli appartiene più.



Quello di Sofocle è un pessimismo estremo della condizione umana. Per l’autore solo le azioni dei suoi eroi, infelici e incapaci di mediazione, hanno valenza liberatoria. Solo con il gesto “eroico” l’uomo ritrova la possibilità di riprendere in mano il proprio destino. Questo gesto eroico è darsi la morte, per affermare sé stessi contro ciò che non si può combattere.



Il caso di “Paolino” Mantovani viene definito in queste ore una “incredibile fatalità”, un “destino maledetto” che si è divertito a ripetere quanto successo all’amico Massimo Pierro sei giorni prima, morto in un incidente stradale quando ha perso il controllo della macchina e dopo alcune carambole è stato sbalzato fuori dall’auto morendo poche ore dopo. 

Quello che è successo a Mantovani, piuttosto che “incredibile fatalità”, sembra uscire dalla mente di Sofocle. Dopo la morte dell’amico, sulla sua pagina FB ha scritto: “Fratello non dovevi… Bastarda morte vieni a prendere me che sono pronto. Ciao Max ci vediamo presto”. Un presagio, una profezia, o un annuncio esplicito di quello che avrebbe fatto pochi giorni dopo? Le indagini chiariranno cosa è successo veramente l’altra notte, lungo la tangenziale di Monza, poco lontano da dove era morto Pierro. 



Mantovani viaggiava si suppone a forte velocità, ha tamponato una vettura davanti a lui, è stato sbalzato fuori, il corpo ritrovato a molti metri di distanza, ucciso sul colpo. Il fatto che il corpo sia finito così lontano sembra dimostrare che non indossasse la cintura di sicurezza. Stava cercando la morte sulla tangenziale, quella morte che aveva invocato su Facebook? Se il legame tra i due, così forte, suscita anche invidia perché tutti vorremmo essere capaci di avere amicizie così potenti, quanto accaduto appare il rifiuto totale della morte, della realtà che irrompe in modo così inaspettato da volerla distruggere e così se stessi. Quel gesto “eroico” di cui narrava Sofocle (oltre al fatto che Mantovani, con la sua ansia di morte, poteva procurare la morte a persone innocenti). 

Infelice incapace di mediazione, incapace di venire a patti con la morte dell’amico, incapace di soffocare la rabbia per quello che definiva un fatto ingiusto, una sorta di Pelide Achille. Incapace di metabolizzare la sua morte, e certo non bastano sei giorni per farlo, come non basterebbero sei anni. Ma Paolino ha deciso di assumere totalmente in se stesso un dolore che gli è parso intollerabile, quella “bastarda morte” che si è permessa di portare via l’amato amico. In una parola, ha deciso che la realtà non è quella che pensava che fosse. E come Aiace, ha scelto il rifiuto radicale una volta constata la sua impotenza di fronte alla vita. Una mentalità, quella di Sofocle, che si credeva che il fatto cristiano avesse vinto, ma che evidentemente è ancora presente nell’uomo del terzo millennio.