Non voglio parlare di Nadia Toffa in quanto giornalista, o conduttrice tv che dir si voglia. Della sua simpatia e del suo furore ideologico, non so quanto reale o maschera, o quanto indotto dai copioni autorali. Voglio parlare solo di una ragazza giovane, frizzante e carina, che nel pieno della sua appassionata e baldanzosa giovinezza si ammala di cancro. Sparisce per poco, poi si fa i selfie, li fa girare, racconta e promette che combatterà. E combatte. Ci vuole fegato, quando al posto della zazzera bionda ti tocca il foulard in testa, quando non sai più nulla del futuro e tutti i tuoi progetti e sogni e fantasie ti crollano addosso. Il buio davanti, e la tua immagine che non riconosci, annichilita dalle cure e dalla paura.
Questa ragazza duramente lotta e dei suoi giorni tormentati ne fa un diario, che condivide, e che diventa un libro. Lo dicono anche gli strizzacervelli che è terapeutico scrivere quando hai una spina nel cuore. La ragazza bionda che ha di nuovo voglia di sorridere e non si vergogna di farsi vedere più smunta, ma per ora vittoriosa, osa affermare che la sua malattia è stata un dono. Apriti cielo, e sprofonda Twitter dall’alto. Commenti cattivi, indignati, almeno perplessi. Come si fa a dire che un cancro è un dono? Facile poi, se ti dicono che ne sei fuori, e magari hai il paravento di un successo spalancato ad attenderti. Per troppi altri le vie d’uscita sono strette e infestate dai rovi.
Se l’avesse detto in qualche chiesa un cristiano, sarebbe stati in molti a commuoversi perché il coraggio e la voglia di vivere comunicati a tutti, per aiutare chi non ce la fa, chi è più affranto, sono cosa buona. Poiché la ragazza in questione ha la dannazione di essere famosa, fioccano le condanne, le accuse di farsi pubblicità, di attirarsi gli applausi. Doveva scrivere un libro per dire che era disperata, e chiedeva la morte? Com’è possibile essere così incattiviti? Come non capire che davanti alla morte la sfida, la battaglia sono una forza, una vittoria sul male? Un cancro poi non si vince con sicurezza, e per sempre, e non era il caso che Nadia fosse costretta a spiegarlo.
Davanti alla sofferenza tocca stare in silenzio, o guardarla in punta di piedi, se proprio si è così gretti da non saperla abbracciare. Davanti alla sofferenza non ci sono strategie più o meno politically correct: c’è lo slancio che in quel momento ti dettano il cuore, gli amici, i medici, la tua voglia di vita. E la casa editrice, o la società di produzione del programma di punta, ok. E chi se ne frega? Vali di più tu, ragazza bionda impertinente e sbarazzina, e questo solo conta. Sii più buona, però, regalaci anche un po’ di tenerezza.