Orfani congelati, tali sono a tutti gli effetti gli ovuli fecondati che le tecniche di procreazione medicalmente assistita (Pma) hanno prodotto in questi anni. Per paura di andare incontro a un ennesimo insuccesso nel trattamento delle donne che si sottoponevano a Pma, fin dal 2009 i medici specialisti hanno prodotto ogni volta più embrioni di quanti ne potessero impiantare. E gli embrioni soprannumerari sono stati di volta in volta registrati, specificando chi fossero i loro genitori, congelati in azoto liquido a meno 196°C e conservati in vere e proprie biobanche. In attesa che qualcuno li reclamasse per impiantarli nell’utero materno.
A Roma, nel padiglione Regina Elena, c’è la più importante di queste biobanche e contiene 900 embrioni, classificati nel massimo rispetto della privacy delle coppie che li hanno generati. Il loro, però, è un destino incerto e complicato al tempo stesso, perché raramente le coppie chiedono di impiantare embrioni congelati da tempo e, d’altra parte, la loro dignità di esseri umani impedisce qualunque altro uso, fosse pure a scopo scientifico.
Il tema è tornato di attualità in questi giorni, con il dissequestro degli embrioni congelati dal professor Antinori, tra i primi a praticare in Italia la Pma: 700 embrioni, appartenenti a 250 coppie. I suoi embrioni erano stati sequestrati quando era stato prima denunciato e poi condannato per “lesioni aggravate e rapina di ovociti”. La denuncia era partita da una giovane infermiera spagnola di origini marocchine, che lo aveva accusato di prelievo forzato di ovociti.
Evidentemente non bastavano ad Antinori gli embrioni già congelati, aveva bisogno di ovuli per la Pma eterologa; che aggiunge ulteriore complessità al problema. Perché, se nella Pma omologa i genitori sono perfettamente identificabili e assumono una responsabilità congiunta nei confronti del figlio che nascerà, nella fecondazione eterologa, almeno uno dei tre è di troppo, perché ha già rinunciato in anticipo a prendersi cura del figlio che nascerà e probabilmente non ha nessun interesse nei confronti dell’embrione congelato. Lui o lei, si considerano donatori: di ovuli o spermatozoi, ma non genitori del nascituro. La loro missione si conclude con la donazione e non culmina nella nascita e nell’accoglienza del figlio.
Gli embrioni congelati, accuratamente conservati sul piano tecnico-scientifico, in un certo senso accuditi dai tecnici delle biobanche, sono invece abbandonati sul piano affettivo-relazionale. C’è intorno a loro un congelamento emotivo difficile da accettare e da spiegare. Attualmente è uno dei problemi etici a cui è più difficile trovare soluzione, proprio perché mette in gioco il grande tema dei diritti umani. A cominciare da un’affermazione di enorme valore scientifico, prima ancora che etico o giuridico: l’embrione è uno di noi; tutti noi siamo stati embrioni; e nell’embrione c’è già tutto il patrimonio genetico che permetterà a una persona di svilupparsi in un modo o in un altro. I primi due articoli della Dichiarazione universale dei diritti umani, di cui quest’anno celebriamo i 70 anni, recitano: “Tutti gli esseri umani nascono liberi ed eguali in dignità e diritti… Ad ogni individuo spettano tutti i diritti e tutte le libertà enunciate nella Dichiarazione…”.
Qualcuno ritiene però che, una volta approvata la legge sull’aborto, la distruzione degli embrioni non dovrebbe supporre alcun problema, almeno sul piano giuridico. Il diritto a nascere sarebbe già annullato con la legge 194. Ma l’aborto non è un diritto; è solo una drammatica circostanza in cui si trova una donna che non vede altre alternative. Il diritto, l’unico diritto vero, è quello alla vita e distruggere tanti embrioni, dopo averli creati per vivere, è francamente paradossale anche sul piano giuridico. Ti distruggo dopo averti creato per farti vivere: c’è un che di sadico in questo approccio al problema.
Si tratta di una questione aperta, a cui la legge 40 aveva cercato di ovviare, imponendo il tetto massimo di tre embrioni: di fatto in una gravidanza tre sembrava essere il numero limite. Ma una sentenza della Corte costituzionale ha abolito questo divieto, nonostante la sua intrinseca ragionevolezza. La sentenza ribadisce da un lato il principio di autodeterminazione e dall’altro la tutela della salute della donna. A lei sarebbero state risparmiate nuove dosi massicce di ormoni, necessari per la produzione di ovuli, ormoni che oggettivamente le avrebbero creato disagio e sofferenza. Nella scelta, però, è mancato un vero e proprio bilanciamento di diritti tra madre e figlio, tra diritto alla salute della madre e diritto alla vita del figlio, dando vita a questo spinoso e apparentemente irrisolvibile problema.
E così i 700 embrioni del professor Antinori si sommano ai 900 embrioni del Regina Elena, in un’attesa di cui non si vede via d’uscita e di cui respingiamo con forza l’alternativa che costantemente ritorna anche in alcune proposte di legge: distruggere i più vecchi e destinare alla ricerca i più giovani, in ogni caso sottoporre la vita umana e la sua dignità a un principio econometrico – conservarli costa denaro – o a un principio solo apparentemente più nobile, la ricerca, ottenuta a prezzo della vita umana.
Gli animalisti difendono la vita animale, rifiutando il loro impiego nella sperimentazione, propongono e impongono continuamente nuovi modelli di ricerca pur di risparmiarli e sarebbe paradossale che noi usassimo un essere umano per fare ricerca…