Tommaso è un bambino di 13 anni, con la sindrome di Down, con cui convive coraggiosamente. Tommaso vive a Chiavari, a pochi chilometri da Genova, e come a tanti, la visione del ponte Morandi crollato gli è rimasta ben impressa nella mente. Ha voluto raffigurarlo, come dando corpo ai suoi pensieri. Oltre le analisi di esperti e politici, il disegno di Tommaso è il segno che la realtà impatta su tutti, anche su chi questa società considera “scarto”. Il suo disegno illumina il male di una domanda grande.
Caro direttore,
la cosa che più mi ha colpito durante le scorse ferie è stata il crollo del ponte Morandi: per la gravità delle vite perse, per la pronta e capace opera di soccorso, per quello che ora rimane. Mentre eravamo lontani da Genova, questa vicenda ci ha interrogato tantissimo ed anche Tommaso ha partecipato. Qualche giorno dopo il crollo, appena svegliato, sul suo tablet, ha fatto questo disegno.
Quanto rappresentato rapidamente e con poche righe ha chiarito la ragione dell’interesse che da giorni mi attirava. Lo spazio vuoto tra i monconi rotti è come la mancanza che rimane al fondo del cuore di ogni uomo e il groviglio nero e informe che rimane a terra è come la domanda, il desiderio di compimento che confusamente anima ed agita ognuno.
Il disegno non è fedelissimo — il crollo non è stato tra due antenne — ma non è stato copiato da un giornale: è la rappresentazione di qualcosa impresso nella sua mente, di una forte emozione. Nel disegno le estremità monche sono come spezzate, lacerate; nella realtà invece appaiono più ordinate, come fossero state smontate.
I segni della rottura sono un altro spunto decisivo, mi richiamano un tessuto vivo, dolente, come una ferita capace ancora di guarire o attecchire in qualcosa di Buono. Ho saputo che Renzo Piano ha proposto di integrare nel nuovo ponte un sistema di luci che ricordi le 43 vittime del crollo. È stato ammirevole che questa iniziativa abbia anche in parte avvicinato chi è coinvolto nella ricostruzione. Se potessi, chiederei però che le luci non fossero 43, ma 44.
La luce in più rappresenta tutti quelli che hanno percorso il ponte tante volte ma non sono caduti e che ora passando ancora guardano increduli. La luce in più rappresenta tutti quelli che hanno soccorso, o hanno desiderato aiutare. La luce in più rappresenta anche me, e tutti quelli che sono stati colpiti da questo avvenimento. Soprattutto, la luce in più rappresenta quella Presenza Buona che oggi e per sempre è in quel luogo, nonostante il dolore. 43 luci soltanto danno un po’ l’impressione di un cimitero, la rappresentazione di una strada condannata a condurre per l’eternità al dolore, di un ponte che porta non si sa dove. Mancherebbe qualcosa.
Roberto