Sono state consegnate nei giorni scorsi le chiavi di sei delle dieci attività che verranno delocalizzate nel cosiddetto “deltaplano” di Castelluccio di Norcia. Due dei tre moduli di cui si compone la struttura temporanea, progettata dall’architetto Francesco Cellini, sono terminati e quindi le prime imprese possono avviare la fase degli arredi. La terza ala sarà invece terminata entro ottobre. Nel deltaplano andranno otto ristoranti, un bar e la Pro Delta, la scuola di deltaplano che troverà sede nella sala polivalente che verrà utilizzata anche per riunioni e assemblee pubbliche. A consegnare le prime chiavi sono stati la presidente della Regione Umbria, Catiuscia Marini, il sindaco Nicola Alemanno e l’assessore regionale allo sviluppo economico Fabio Paparelli. Quest’ultimo ha evidenziato l’importanza di mettere “finalmente a disposizione delle imprese di Castelluccio uno spazio idoneo e di grande qualità per ricominciare a lavorare e a progettare il proprio futuro”.



Una realizzazione che nei mesi scorsi ha sollevato molte polemiche. C’è chi ha parlato di ecomostro, chi ha evidenziato la volontà di rovinare le zone di Castelluccio dove nei momenti di fioritura della lenticchia i terreni assumono quei colori che li fanno sembrare dei quadri. In molti hanno anche sottolineato che prima di spendere milioni di euro per una struttura che non rappresenterà la storia di quei territori sarebbe stato più opportuno spendere soldi per la ricostruzione, per il recupero di monumenti storici, per trovare sistemazione a quegli operatori economici destinati al deltaplano in altre zone, magari là dove i turisti possono tornare a visitare le bellezze di Norcia e dintorni.



I lavori erano cominciati in primavera, quando il sindaco di Norcia, Nicola Alemanno, aveva difeso dalle critiche questa nuova opera con un post sui social. “Oggi ,1 maggio 2018, a Castelluccio – aveva scritto Alemanno – non c’è nessuna colata di cemento se non un lento, sofferto, pungolato, denunciato, richiesto tentativo di ripresa! Può piacere o non piacere, potevano essere prese altre decisioni. Ma chi siamo noi per ergerci a giudici, quando una comunità di persone, i Castellucciani (leggasi anche competenti) lo ha accolto e non vede l’ora di ripartire? Lo vogliamo far bloccare?? Solo ‘per sentirci’ difensori dell’ambiente?”.



Difficile dire se questa opera era necessaria, facile evidenziare che su quei territori è una sorta di pugno nell’occhio, checché ne dica il sindaco di Norcia. La consegna delle chiavi ai primi operatori commerciali ha rappresentato comunque l’occasione per le critiche e le proteste da parte di chi aspetta interventi dello Stato e dopo anni vede poco o nulla, anzi vede i centri storici un tempo fulcro del turismo morire lentamente, vede i giovani abbandonare le loro abitazioni per sempre verso nuovi luoghi dove costruire vita, famiglia e affari. I bambini difficilmente torneranno a riempire le scuole e la mancanza di una nuova generazione rappresenta il definitivo declino di un’intera comunità.

I numeri ufficiali sono quelli rappresentati dal report di Legambiente, ma basta girare per i paesi per sentire dalla voce diretta degli anziani, di chi non vuole abbandonare i paesi colpiti dal terremoto di Umbria, Marche, Abruzzo e Lazio, la situazione grave che si vive giorno dopo giorno. L’immobilismo che non lascia trapelare un filo di fiducia verso il futuro. Il report “Lo stato di avanzamento dei lavori nelle aree post sisma” è per certi versi impietoso. Un’emergenza che si riflette soprattutto su quattro punti critici rispetto ai quali tardano ad arrivare interventi risolutivi da parte del Governo: ricostruzione delle scuole, recupero e gestione delle macerie, consegna dei Sae (soluzioni abitative per l’emergenza) e salvaguardia dei beni culturali.

Relativamente alla ricostruzione delle scuole non sono bastate tre ordinanze per interventi di riqualificazione o nuove edificazioni per ben 235 edifici scolastici, la maggior parte dei cantieri sono ancora in fase di progettazione o di attuazione.

Per quanto riguarda il recupero e la gestione delle macerie la situazione resta critica anche sul fronte del recupero delle macerie pubbliche. Legambiente ricorda che a maggio 2017, a dieci mesi dal primo sisma, era stato raccolto solo il 4% di macerie. Secondo l’associazione ambientalista a pesare maggiormente su questa prolungata fase di stallo è stata la mancanza di pianificazione preventiva. Legambiente sottolinea anche che la mancanza di mappe del materiale pericoloso e di quello storico ha rallentato la rimozione. I tempi delle demolizioni e quelli della rimozione, affidati a soggetti diversi, molto spesso non sono coordinati.

Per quanto riguarda i moduli abitativi Sae al 22 agosto 2018, stando agli ultimi dati riportati sul sito della Protezione civile, sono ancora 231 quelle che devono essere consegnate ai sindaci di 10 comuni. Ma nel report Legambiente ricorda che potrebbero essere molte di più le Sae che non sono state consegnate alle famiglie: la Protezione Civile avverte infatti che la consegna delle Sae al sindaco non vuole necessariamente significare che le case siano state fatte arrivare alle famiglie.

Anche per quanto riguarda i beni culturali la situazione è ancora molto complessa: molte opere sono state accantonate in magazzini, tante altre devono ancora essere messe in sicurezza.

E quindi è giusto e opportuno spendere tanti euro per realizzare quello che per molti, di fatto, è solamente un centro commerciale fatto di negozi e ristoranti? Dando a questo una priorità assoluta rispetto a interventi che potrebbero ricreare una comunità, dare vita a una nuova socialità di persone che hanno vissuto fianco a fianco, porta a porta, e che adesso si trovano chissà dove, senza le amicizie di sempre, con l’ansia di poter morire lontano da dove hanno sempre vissuto. Questione di scelte dove vince la politica, dove vincono sicuramente interessi commerciali importanti che però mettono in secondo piano i desideri di un uomo che vuole essere parte, protagonista di una comunità. Anche solo tornando a coltivare l’orto che aveva dietro casa.