Il caso di Emanuele Scieri, giovane parà della Folgore morto il 13 agosto 1999 nella caserma Gamerra di Pisa è stato affrontato ieri davanti al tribunale del Riesame di Firenze. Ai giudici, Alessandro Panella, ex caporal maggiore arrestato nelle passate settimane e attualmente ai domiciliari con l’accusa di concorso in omicidio volontario (altri due ex commilitoni, Luigi Zabara e Andrea Antico risultano indagati a piede libero per lo stesso reato) ha ribadito più volte la sua estraneità ai fatti: “Con la morte di Emanuele Scieri io non c’entro nulla”. Panella ha preferito la formula delle dichiarazioni spontanee che sono state consegnate per iscritto ai giudici del Riesame ai quali, come riporta il quotidiano La Nazione nella sua edizione online, sostanzialmente non ha aggiunto nulla di nuovo rispetto a quanto ripetuto al gip di Pisa, Giulio Cesare Cipolletta ai primi di agosto, in occasione dell’interrogatorio di garanzia. Al termine dell’udienza, la difesa dell’ex caporale rappresentata dagli avvocati Tiziana Mannocci e Marco Meoli ha chiesto la revoca della misura cautelare o in subordine l’attenuazione della misura afflittiva. Di contro, il pm Sisto Restuccia ha avanzato la richiesta di conferma dei domiciliari. Il Riesame si esprimerà nei prossimi giorni, molto probabilmente già in settimana.
CASO SCIERI, LA LINEA DELLA DIFESA DI PANELLA
Secondo la difesa di Alessandro Panella, ex caporale accusato dell’omicidio volontario in concorso di Emanuele Scieri, quanto ricostruito dalla procura non sarebbe attendibile per via dell’insussistenza dei gravi indizi di colpevolezza a carico del proprio assistito. Le relazioni peritali, convergerebbero su una “ipotesi di omicidio volontario, in realtà tutta da dimostrare, ma anche di inquinamento probatorio e pericolo di fuga” dell’imputato. Panella ha la cittadinanza americana e secondo la difesa “stava organizzando il suo viaggio di ritorno in California dove vive stabilmente da 10 anni”. I suoi legali hanno contestato anche le intercettazioni ambientali che lo riguardano poiché, a loro detta, “quelle parole vanno analizzate in tutto il contesto e non estrapolate dallo stesso”. I due difensori, infine, hanno ribadito che il deposito delle stesse intercettazioni sarebbe avvenuto in una fase successiva all’esecuzione della misura e non prima come previsto dalla legge, inoltre, “nell’applicazione della misura cautelare non è indicato alcun termine di durato per l’eventuale inquinamento probatorio”. Alla luce di tutti questi dati, i giudici del Riesame di Firenze sono chiamati a prendere la loro decisione.