Pubblichiamo l’intervista a don Julian Carron di Gian Guido Vecchi sul Corriere della Sera dedicata all’emergenza migranti.
«Ricordo l’impressione che mi fece la notizia di un immigrato pakistano: giunto stremato in un centro di accoglienza italiano, incontra un volontario che lo chiama e gli domanda se vuole pasta in bianco o al sugo, carne o pesce. L’uomo scoppia in lacrime, nessuno lo aveva mai chiamato per nome. Un gesto semplice di umanità gli ha fatto cambiare idea su quelli che prima per lui erano solo degli “infedeli”». Don Julián Carrón, scelto dal fondatore Don Luigi Giussani come suo successore, guida Comunione e Liberazione dal 2005.
Ci sono voluti diciannove giorni perché si aiutassero 49 persone lasciate in alto mare. Che sta succedendo, in Europa, se è dovuto intervenire Francesco all’Angelus per scuotere i leader?
«È il segno di una crisi che non è innanzitutto politica o economica ma antropologica, perché riguarda i fondamenti della vita personale e sociale. Uno strano oscuramento del pensiero costringe il Papa a rimettere davanti a tutti la realtà, prima delle idee e degli schieramenti. Già Benedetto XVI ricordava che l’esperienza migratoria rende le persone vulnerabili: sfruttamento, abusi, violenza. Per questo l’attuale pontefice richiama tutti a rispettare l’imperativo morale di garantire ai migranti la tutela dei diritti fondamentali e rispettarne la dignità. Il cristiano riconosce che i migranti hanno bisogno di leggi e di programmi di sviluppo, tanto quanto “di essere guardati negli occhi”, diceva Francesco: “Hanno bisogno di Dio, incontrato nell’amore gratuito”. Allora tutto può cambiare».
Forse il problema è che si parla di numeri, di «clandestini» in astratto…
«È proprio così. Fa parte della nostra riduzione dello sguardo che impedisce di cogliere l’umano. I migranti, prima che numeri, sono persone concrete, volti, nomi, storie, aveva detto il Papa a Lesbo nel 2016. Dovrebbe essere palese ma non lo è più, segno che è andato in crisi il nostro rapporto con la realtà: per questo le sue parole suonano “rivoluzionarie”. Tutto è guardato attraverso filtri che non raggiungono più la persona reale. Il Papa ci indica il metodo: “Si vede bene solo con la vicinanza che dà la misericordia”».
Francesco ha denunciato il riapparire di populismi e nazionalismi che «indeboliscono» il «sistema multilaterale». Perché accade?
«Nel tempo ha prevalso la dimensione universale, un tentativo che ha le sue radici nell’Illuminismo: salvaguardare i valori – persona, vita, famiglia, società – slegandoli dall’appartenenza alla storia particolare che li aveva generati. Alla globalizzazione, espressione ultima del tentativo illuminista, si oppone una concezione di appartenenza nazionalistica. Ma tale reazione non risolve il problema, lo sposta solo in avanti rimandandone la soluzione: un equilibrio corretto tra appartenenza a una storia particolare e apertura all’universale».
Come si può rimediare alla strategia della paura?
«Si può rimediare solo se si trova una vera risposta alla paura. La paura non si vince con la violenza, la chiusura, i muri, tutte espressioni di una sconfitta. La paura è sconfitta solo da una presenza. Ciò che vince la paura del buio in un bimbo è la presenza unica della mamma. Ciascuno dovrà scoprire nella sua vita quali presenze rispondono alle sue paure».
La sfida sovranista, da Bannon a Salvini, inalbera i «valori cristiani». Che può fare le Chiesa?
«È chiamata alla sua missione unica. Essa custodisce il “segreto” della vittoria sulla paura, l’unica Presenza che la vince senza bisogno della violenza. Questa è un’opportunità formidabile per la Chiesa di riscoprire il suo compito: annunciare questa Presenza, renderla testimonianza. Solo lasciandosi investire dalla presenza di Cristo, potrà testimoniare a tutti una modalità di vincere la paura adeguata alle sfide odierne. È il contributo che noi cristiani siamo chiamati a dare: generare uomini e donne non dominati dalla paura, in grado di creare luoghi capaci di accogliere e integrare chi è diverso da noi. Le vie d’uscita di pura reazione sono fallimentari in partenza, anche se nel breve termine possono sembrare vincenti. Manca la prospettiva storica. Abbiamo già assistito a troppe situazioni in cui è diventata dominante una mentalità che non ha retto l’urto del tempo. Staremo a vedere quanto dura questa».
Cosa direbbe ai fedeli sedotti dal sovranismo?
«Che guardino se stessi e vedano se esso risponde alle loro aspettative, quando vanno a dormire e si alzano al mattino. In questo momento drammatico è in gioco ognuno di noi e, quindi, la nostra famiglia, i nostri rapporti, i nostri fratelli bisognosi, la nostra società. Sarebbe un peccato sprecare l’occasione».