Chiara Alessandri ha ammesso di aver ucciso Stefania Grotti, che era la moglie del suo amante, ma non di averle dato fuoco. La giustizia stabilirà la verità ma, già con questi elementi, si può dire che la tragedia che ha colpito Stefania è frutto della drammatica normalità di una crisi matrimoniale, sicuramente gestita malissimo. Lui che prende una casa in affitto per qualche tempo “per prendersi una pausa” dalla moglie e poi la tradisce con quella che sarebbe stata la sua assassina.



Quando l’amore è confuso con il possesso, diventa malvagio, non si vede più bene; anzi, non si vede più nulla. Qui pare addirittura che Chiara, fingendosi il marito, abbia scritto a Stefania un biglietto d’amore dandole appuntamento in un luogo dove Stefania si sarebbe dovuta far trovare bendata. Riferimento a “Bird box”, il film in cui Sandra Bullock e amici fuggono bendati? Oppure ennesima versione di “50 sfumature di grigio”? Altro? Non è dato sapere. Si brancola nel buio.
La linea difensiva scelta dall’avvocato dell’omicida, poi, tradisce un incredibile ribaltamento dei valori della nostra società: sarebbe stata Chiara, l’amante, a pretendere un chiarimento dalla moglie, e non Stefania, che è la moglie, ovvero la vittima uccisa. Saremmo davanti a una storia, cioè, in cui l’amante veste i panni della moglie tradita quando invece da sempre è l’amante che, almeno dal punto di vista sociale, dovrebbe sentirsi in torto, e quindi scappare e nascondersi.



Omicidio quindi che fa da cartina di tornasole all’evidentissima crisi attuale dell’istituto matrimoniale, tanto da ritenere sensata anche per un’aula di tribunale una strategia difensiva in cui l’amante ha gli stessi diritti della moglie. Omicidio che conferma poi la terribile forza dell’amore, anche quando malato. È l’amore, anche quello offeso, tradito e geloso, a “muovere il sole e l’altre stelle”: dove il sole e le stelle, in questo caso, sono macabramente diventati il sangue e le martellate.

Terribile la forza dell’amore, perché non dobbiamo dimenticare che la gelosia è una forma malata d’amore. La gelosia esplode quando si ha la certezza, o anche solo il timore e il sospetto, di perdere la persona amata per colpa di altri. In quel caso l’amore inteso come possesso fa sì che si dica: visto che tu non sei più per me, è meglio che tu muoia piuttosto che tu viva con un altro. Come ebbe a dire Ratzinger trent’anni fa, amare è dire a un’altra persona “è importante per me che tu esista” (Guardare Cristo. Esercizi di fede, speranza e carità, p. 72):  dirglielo con parole e con ogni genere di gesti, è amare. Dirglielo anche se la vita non è minacciata, perché lo stupore di un’esistenza nasce dal fatto meraviglioso che tu e io potevamo non esistere e invece ci siamo, siamo qui, ci siamo conosciuti e desideriamo trascorrere il resto della nostra esistenza a renderci la vita sempre più felice, ricca, positiva. L’amore possesso invece dice “è importante che tu esista per me”. Sembra nulla quella minima inversione di parole, quel mettere il “per me” prima o dopo, ma invece è tutto. È la differenza del lasciar vivere o dell’uccidere, dell’essere accecato dalla gelosia o dal saper amare nonostante non ci si senta ricambiati.