È arrivato a Panama da poche ore per dare il via alla sua terza giornata mondiale della gioventù. La prima fu a Rio de Janeiro nel 2013, ma sembra passato un secolo. Oggi Francesco non è più il papa applaudito e osannato di un tempo. Nella barca di Pietro si levano voci discordi: chi lo vuole troppo compromesso con i Gentili, chi ancora troppo legato ai riti del Tempio. È successo anche a Pietro, succede ad ogni Papa: passare per il buio della Passione, che oggi si chiama corruzione, pedofilia, guerre intestine, perché possa essere chiaro a tutti chi è il protagonista della Resurrezione, quel Cristo che Francesco va nuovamente a riproporre ai giovani non come una strada, ma come “La” strada.



Eppure anche loro – i giovani – in questi sei anni sono cambiati. Non solo perché saranno meno di altre edizioni, il periodo invernale non aiuta la partecipazione dei paesi del nord del mondo, e non solo perché verranno da paesi diversi: il motivo è che sono proprio i giovani ad essere cambiati. Nel 2013 il clima mondiale raccontava di una crisi economica che molti volevano lasciarsi alle spalle, quasi fosse stata una parentesi, mentre gli anni a venire hanno insegnato che quella crisi era la spia di un cambio di epoca, di un mondo che finiva, una società dove le pulsioni dionisiache avrebbero favorito il sorgere di nuovi settarismi ed egoismi di gruppo, capaci di fagocitare l’Occidente in una spirale di autodistruzione, rendendo vano qualunque richiamo al buon senso.



Già allora, solo poche settimane dopo quella Gmg del 2013, si profilava all’orizzonte del mondo l’acutizzarsi del conflitto in Siria, cui il Papa rispose col digiuno e la preghiera. Ma in pochi potevano prevedere che quello sarebbe stato solo l’inizio: la pace è oggi il bene più a rischio del genere umano. Per la prima volta, dopo ottant’anni, i paesi usciti dalla seconda guerra mondiale sembrano aver smarrito il senso di precarietà della pace, sembrano ritenerla un bene ineluttabile, a tratti inscalfibile dalle mille provocazioni che la inficiano tutti i giorni a colpi di tweet e dirette Facebook.



Ma non è così: è un mondo più precario e più confuso di sei anni fa quello che oggi accoglie Francesco a Panama. Al centro ci sono giovani più complessi e disorientati, oscillanti fra le pulsioni di rabbia che attraversano il mondo e la consapevolezza ultima del fatto che le cose così come sono non vanno. Già, perché non c’è niente come la giovinezza che porti con sé la forza profetica di riconoscere le crepe delle nuove ideologie perfette, dove chi muore in mare “se l’è cercata”, dove “pretendere tutto subito” è diventata cosa migliore che investire sul domani, dove “ciò che è mio” non potrà mai diventare “nostro”.

Non per niente Francesco ha scelto Panama per questa festa, una terra di istmi e di canali per un tempo di muri e di paure. E la paura è la cifra che contraddistingue i ragazzi convenuti a queste notti sudamericane: la paura di essere soli, di non avere futuro, di non meritare amore, di non valere. Ed è quella paura a rendere tutti più pazzi, più cattivi, più crudeli, incapaci di sentire il dolore dell’altro, timorosi di guardare al futuro. In una sola espressione: senza speranza. La speranza di un’appartenenza, che fece sognare i sessantottini, la speranza di un ideale, che fece ricostruire l’Europa nel secondo dopoguerra, la speranza di una civiltà dell’amore, che animò il cuore di chi trafisse a morte il comunismo sovietico.

È questo il compito che Francesco s’appresta dunque a compiere in terra panamense: non prendere posizioni politiche o curare un restyling della Chiesa di Roma, ma risuscitare la speranza nel mondo, indicando a quei giovani Qualcosa di presente. Non un’utopia da realizzare, ma Qualcuno che vive nella storia e che ogni giorno ricomincia, cambia, vince. Depressi, alcolizzati, alterati dalla droga o dal potere, ludopatici, ostaggio del panico e dell’ansia, ricattati dalle performance, imbranati nell’amore pur essendo stracolmi di sesso, insicuri, impauriti, abusati, sconfitti: a Panama ci siamo davvero tutti. Ed è lì che Pietro è atterrato. Portando in scena il proprio passo non più giovane e vispo, la sua lunga e tormentata esperienza, il suo cuore certo e al contempo inquieto.

Si dice che con lui, per rispondere alle domande di questo tempo e di quei giovani cuori, sia atterrato anche Gesù di Nazareth. Ma pare che come al solito si sia subito dileguato. Impegnato ad incontrare quei ragazzi uno ad uno perché possano riconoscere nelle parole di Francesco la possibilità di una vita, e di un mondo, che ricomincia. Proprio qui, proprio a Panama. Nuova Nazareth dove Maria è pronta ad accogliere la chiamata dell’Angelo, nuova terra santa che sfida i cuori e riapre lo sguardo all’amore del Mistero, in questo squarcio – tormentato e drammatico – di inizio millennio.

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