La storia del piccolo Julen, il bimbo spagnolo caduto nel pozzo, ha tanti, troppi, tratti in comune la straziante vicenda di Alfredino Rampi, il bambino italiano che il 10 giugno 1981 cadde a sua volta in un pozzo artesiano senza più uscirne, se non da morto. L’Italia si incollò in quelle ore di vibrante attesa e speranza al televisore, i telegiornali organizzarono la prima vera diretta no-stop della tv italiana, dal momento che nelle prime fasi del tentativo di recuperare il piccolo Alfredino si era diffusa la voce che il bambino potesse essere estratto da un momento all’altro. Così evidentemente non fu, nonostante il massiccio impegno dello Stato, rappresentato sul posto dal presidente della Repubblica in persona, quel Sandro Pertini che tentò di incoraggiare i soccorritori e far sentire la propria vicinanza alla famiglia. Dopo la morte di Alfredino, il capo dello Stato ricevette la mamma del bambino, Franca Rampi, che lo esortò ad istituire una struttura nazionale che si occupasse di protezione civile. Fu dunque dalla tragica fine di Alfredino che nacque la Protezione civile che oggi tutti conosciamo e tante vite ha salvato in questi anni. (agg. di Dario D’Angelo)
ALFREDINO RAMPI
La tragica vicenda di Julen, il bimbo di due anni e mezzo morto dopo essere caduto in un pozzo, ha fatto tornare alla mente uno dei casi di cronaca nera più noti dell’epoca moderna, quello riguardante Alfredino Rampi, ricordato anche come la tragedia del Vermicino. Così come il piccolo spagnolo, anche Alfredo morì a soli 6 anni dopo essere caduto in un pozzo, precisamente il 13 giugno del 1981, 37 anni fa. Alfredo si trovava nelle campagne vicino a Frascati con mamma e papà, quando una sera decise di uscire a fare una passeggiata nei campi, promettendo di non allontanarsi troppo. Peccato però che dopo alcuni minuti il bambino sparì ed i genitori, non vedendolo arrivare, iniziarono ad allarmarsi. Vennero quindi avvisate le forze dell’ordine e dopo alcune ricerche il bimbo venne avvistato all’interno di un pozzo nel terreno di un’abitazione in costruzione, non lontano dalla casa dei Rampi, in via Vermicino (da qui il nome della tragedia). Il pozzo era stato coperto con una grata dal proprietario dello stesso, che non si era accorto della presenza del bambino. Partì così la macchina organizzativa, una serie di operazioni di soccorso che si rivelarono a dir poco disastrose, e che spinsero alla costituzione della Protezione Civile proprio per trattare meglio questi casi speciali.
ALFREDINO RAMPI COME JULEN
Dopo una prima ispezione si ipotizzò che il bimbo fosse precipitato a 36 metri sotto il terreno, e lo stesso si lamentava e piangeva. Venne quindi effettuato un primo tentativo di recupero facendo calare una tavoletta di legno a cui Alfredino avrebbe dovuto attaccarsi, ma la tavoletta si incastrò a 24 metri ostruendo il pozzo (largo 28 centimetri e profondo 80 metri). Vennero quindi calati all’interno del tunnel dei giovani speleologi del soccorso alpino, ma i tentativi andarono a vuoto a pochi metri dall’obiettivo. A quel punto si decise di scavare due tunnel, uno orizzontale e uno verticale, ma così come per Julen, il terreno si rivelò essere molto duro e difficile da perforare. A metà giorno seguente, i tg iniziarono la diretta di quello che diverrà uno degli eventi più seguiti dell’epoca, e nel frattempo le condizioni del bimbo iniziarono a peggiorare: ormai non si lamentava più. Il mattino del secondo giorno venne terminato il tunnel orizzontale ma la scoperta fu terribile: il bimbo non si trovava a 36 metri di profondità ma molto più giù, a 60. A quel punto si decise di far calare qualcuno nel pozzo, e spuntò il volontario Angelo Licheri, magro e piccolo, che riuscì a raggiungere Alfredo, ma nel tentativo di riportarlo in superficie lo fece scivolare ancora più in profondità. Il bimbo verrà raggiunto solamente all’alba del 13 giugno da uno speleologo che appurerà il decesso dello stesso: il corpo verrà recuperato l’11 luglio.