«Ogni domenica, alle nove e mezza, venivano a prenderci dal campo con un camion. Sceglievano i più debilitati. In italiano, ci dicevano: ‘Vieni, vieni al Pronto soccorso, ché lì ti danno da mangiare i maccheroni. Non vedi come sei diventato magro?’. Non è più tornato indietro nessuno. Li portavano ai forni crematori»: lo ha raccontato Emo Bianchi, ex deportato nel campo di Weissensee, in Germania, ai colleghi del Fatto Quotidiano per la Giornata della Memoria. Poi il racconto tremendo, uno dei tanti, che riporta alla mente quanto sia decuplicato il dramma per coloro che sono sopravvissuti e che con la forza della testimonianza da decenni portano avanti il peso e le ferite mai pienamente rimarginate: «Un giorno, mentre andavamo a prendere gli avanzi da un’osteria prima di tornare al campo, un mio compagno ebbe la sfortunata idea di fare una carezza a un bimbo tedesco – racconta Bianchi che è riuscito a parlare di quelle tragiche vicende in pratica solo dopo settant’anni di silenzio -. Lo uccisero di botte».
GRUPPI DI NAZIONALISTI POLACCHI DAVANTI AUSCHWITZ
Un episodio spiacevole si è registrato oggi, 27 gennaio 2019, in occasione della Giornata della Memoria. Come riportato da Il Fatto Quotidiano, un gruppo di militanti neonazisti polacchi si è radunato all’esterno del campo di concentramento di Auschwitz per protestare contro il governo polacco accusato di ricordare, nelle annuali celebrazioni per il Giorno della Memoria, solo gli ebrei e non le vittime polacche. Il corteo, formato da circa 45 persone, capeggiato dall’attivista Piotr Rybak, ha innalzato bandiere con le scritte “Auschwitz-Birkenau – Made in Germany“, oltre che lo stemma nazionale polacco, tentando l’irruzione proprio nei frangenti in cui era in corso la cerimonia di ricordo delle vittime con alcuni sopravvissuti. Il gruppo si è mosso verso l’ingresso del Museo di Auschwitz al grido di “La Polonia per i polacchi”. (agg. di Dario D’Angelo)
LE PAROLE DI GIUSEPPE CONTE
«Se comprendere è impossibile, conoscere è necessario, perché ciò che è accaduto può ritornare’. Nella Giornata della Memoria voglio ricordare con le parole di Primo Levi le vittime della Shoah. Una pagina orribile dell’umanità, un crimine folle che non dobbiamo mai dimenticare», ha ricordato il Presidente del Consiglio, Giuseppe Conte, mentre su più fronti piovono diverse polemiche anche contro il Governo per una certa “sottovalutazione” dei fenomeni di neo antisemitismo che purtroppo si odono da più parti nel Paese. «La cultura dell’odio ha superato i limiti, serve fermezza» spiega Ruth Dureghello, Presidente della Comunità Ebraica di Roma, nel ricordare il Giorno della Memoria per tutte le vittime della Shoah. «Quest’anno si affacciano in modo più evidente e più forte alcuni segnali, parole e consuetudini che pensavamo di aver buttato dietro le nostre spalle. Sono però per natura una persona ottimista, anche per identità culturale, perchè non c’è popolo più positivo di quello ebraico. La memoria è sempre stata necessaria per la nostra tradizione ma è anche un impegno. Questo clima ci spinge ancora di più a non rinunciare. Anzi – sottolinea ancora la Presidente Dureghello – ci obbliga a muoverci ulteriormente e a coinvolgere più persone». Da Gerusalemme, in visita allo Yad Vashem (Ente Nazionale per la Memoria della Shoah di Israele) ha parlato il Ministro degli Esteri Enzo Moavero Milanesi: «Vorrei esprimere la più profonda vergogna e le scuse a nome dell’Italia […] Un Paese, patria del diritto due millenni fa, che ha adottato norme che tutto avevano tranne l’essere norme di diritto, tradendo così una parte dei suoi concittadini».
LA GIORNATA DELLA MEMORIA: IL DRAMMA DELL’OLOCAUSTO
Il 27 gennaio si celebra, come tradizione, la Giornata della Memoria per le vittime dell’Olocausto: per non dimenticare i morti, per non dimenticare le atrocità del nazifascismo tra gli anni Trenta e il 1945 e per non dimenticare quei semi della morte gettati dalle ideologie totalitarie (tutte, non solo il nazionalsocialismo) che possono riportare in auge anche nel prossimo futuro quell’ignobile annientamento della vita umana a vantaggio di una idea (folle) politica e sociale. Già, ma perché il 27 gennaio si è scelto per ricordare la Shoah e l’abominio di oltre 6 milioni di ebrei uccisi dal regime nazista di Adolf Hitler? La Giornata della Memoria viene ricordata proprio oggi perché il 27 gennaio 1945, esattamente 74 anni fa le truppe sovietiche dell’Armata Rossa arriveranno nella cittadina polacca di Oświęcim scoprendo gli enormi campi di concentramento e sterminio più noti col nome di Auschwitz-Birkenau. Attorno a mezzogiorno, le prime truppe sovietiche del generale Viktor Kurockin entrarono nel campo della morte e trovarono 7.000 prigionieri che erano stati lasciati nel campo, moltissimi bambini che si erano nascosti durante le ultime esecuzioni dei nazisti prima della fuga per la guerra finita e la capitolazione del Fuhrer. Il Giorno della Memoria è stato riconosciuto ufficialmente da una risoluzione Onu il 1º novembre 2005 e ricorda tutte le vittime del nazismo nell’Olocausto della Seconda Guerra Mondiale.
GUARESCHI, LA SHOAH E I LAGER SCONFITTI
In Italia e in tutto il mondo si celebra dunque oggi il ricordo di quelle atrocità vissute dal popolo ebraico e in generale da tutti gli “inferiori”, considerati tali, dall’ideologia nazista: cattolici, rom, disabili, malati di mente, prigionieri politici e quant’altro, chiunque non rientrava nel folle piano ariano del Reich doveva essere eliminato. Ma qui 6 milioni di ebrei (cifre mai del tutto confermate, pare siano molte di più) pesano ancor di più nell’economia di una Memoria collettiva che non deve essere abbandonata. Uno degli esempi più “piccoli” eppure significativi della lotta “passiva” contro i lager nazisti in Italia è quel Giovannino Guareschi che tutti ricordano “solo” per i racconti di Don Camillo e Peppone. “La Favola di Natale” fu scritto e messo in scena da Giovannino Guareschi mentre, assieme ad altre migliaia di militari italiani (molti dei quali spettatori di quella serata del 1945), era prigioniero nel lager di Sandbostel in seguito alla scelta di non aderire alla Repubblica Sociale di Mussolini e al Terzo Reich di Hitler.
«Mio padre, nel lager, si era accorto che il suo compito non era solo quello di divertire ma anche di farsi carico dei problemi degli altri. E così, con un colloquio immaginario con se stesso, col Giovannino magro, con gli occhi spiritati, stracciato ma pieno di sogni, dice: “Questi poveretti hanno una grande nostalgia di casa: perché non cerchi di rasserenarli scrivendo una favola di Natale…”. Così è nata questa opera le cui muse ispiratrici furono “la fame, il freddo e la nostalgia”», raccontava anni fa il figlio di Guerreschi, Alberto. Davanti a chi gli chiedeva perché scrivesse durante un orrore così grande, Guareschi amava replicare (ricordando come soffriva nel non sapere se avrebbe mai rivisto la sua famiglia e la piccola figlia Carlotta nata mentre lui era stato deportato): «le parole nascono ma non muoiono. Non muore niente, a questo mondo. Le parole nascono, e poi essendo più leggere dell’aria, salgono in su e arrivano fino al punto in cui il cielo finisce e comincia l’eternità. Come se si liberassero in una stanza cento palloncini: arrivati al soffitto si fermerebbero. Lassù ci sono tutte le parole del mondo: dal grido minaccioso di Caino, all’ultimo discorso di Farinacci. Questo è importante, signorina Carlotta: perché, se il buon Dio mi metterà le alucce sulle spalle prima che io ti veda, andrò a sedermi sulla stella che sta proprio sopra la tua casa e, mano a mano che saliranno al cielo le tue paroline corte corte come semibiscrome, io le coglierò al volo e le rinchiuderò tutte dentro un sacchetto di seta. E, ogni tanto, ne trarrò fuori un pizzico e le scuoterò come un mazzetto di campanellini e mi divertirò a sentirle tintinnare. Così: do, re, mi, fa, sol, la, sì…».