PANAMA – È tempo di fare ritorno a casa. È tempo di abbracci, lacrime, ultimi sorrisi. È tempo di riporre emozioni e sogni nello zaino. La conclusione di una Giornata mondiale della gioventù è sempre un misto di letizia e malinconia. Ma anche di grande consapevolezza. Soprattutto dopo giorni così intensi, tra incontri, catechesi, canti, veglie e celebrazioni. Ma c’è qualcosa che ha detto papa Francesco che supera tutto. Quel adesso di Dio che ha fatto sussultare il cuore a molti. Lo ha tirato fuori quasi alla fine, come l’asso migliore. L’adesso di Dio che ci viene incontro per chiamare anche noi a prendere parte al Suo adesso.
Mi è tornata in mente la parola che ho fatto fatica a masticare per molto tempo, contemporaneità. Senza dubbio l’adesso di Dio è Gesù che si fa presente. Come ha meravigliosamente spiegato Francesco, si fa “volto, carne, amore di misericordia”. È il “tempo di Dio che rende giusti e opportuni ogni situazione e ogni spazio”. Non proprio concetti teologici da adunata oceanica di ragazzi poco più che adolescenti. Eppure raccogliendo voci, tra i gruppi sfiniti da caldo, nottata sotto le stelle, e lunghe file davanti ai bagni chimici, ho compreso che la qualità di questa generazione di millennials o come è stata di recente ribattezzata in ambito cattolico, dove si va matti per le etichettature sociologiche, di Laudato sì, è altissima.
Percorrendo a ritroso la strada che mi aveva portato nel campo San Juan Pablo II, in mezzo ai pellegrini, ho fatto un po’ di domande e quando ho interrogato sull’ahora de Dios, due ragazzi colombiani, lui un colosso scuro di oltre 2 metri, lei piccolina e pallida mi hanno detto: “È il presente, noi giovani non siamo futuro, siamo presente”; e ancora “Cristo è presente, e noi siamo presenti quando costruiamo ponti verso di Lui”. Non male per due che insieme non facevano 40 anni. Mi è stato chiaro che tutti i ragazzi che lasciavano la distesa di paglia, terra e polvere su cui si sono consumate la veglia e la messa conclusiva della Gmg, avevano assorbito le parole del pontefice. Un francese, con tanto di basco e la lingua sciolta, mi ha rivelato che è l’ora di Dio, il Suo appello. Dio chiama là, dove siamo, ma è una chiamata cha va accompagnata.
Quello che colpiva in questi giorni panamensi erano i volti sereni, direi pacificati, di questi ragazzi. Non c’era quell’esaltazione, quell’isteria collettiva, che altre volte ho registrato nelle affollate, forse troppo, giornate mondiali del passato. C’era letizia e passione, allegria e pienezza. Ecco direi, con il Papa, che erano giovani “presenti”. Come la giovanissima suora, agghindata neanche una monaca nell’800, che mi ha parlato di felicità e consegna assoluta a Dio. Di totalità e scelta definitiva per Cristo. Ciascuno con la propria sensibilità ha tirato fuori quello che aveva dentro, e più andavo in cerca dell’idiota di turno, per non smentire i luoghi comuni su bamboccioni, cattolici bigotti e nativi digitali ottusi, più trovavo gente matura, preparata, sana. Ragazzi che hanno già incontrato o sono pronti a incontrare il “Dio vicino e quotidiano, amico e fratello” che “chiede di imparare vicinanza, quotidianità e soprattutto fraternità”.
Poi alla fine becco un panamense con una maschera messicana da wrestling sul volto. Ecco mi dico questo deve essere per forza scemo per andare in giro così con 30 gradi all’ombra e un caldo che ti fa sudare anche i peli del naso. E invece quando gli chiedo che tipo di esperienza è stata mi risponde: “La Gmg serve a creare pace, a generare amore, per far conoscere Dio più da vicino. Chi non ci puntava molto si è dovuto ricredere. Ha visto il bello che c’è. Perché la fede in fondo non è che felicità e bellezza”. Tiè, mi sono detta. Ti sta bene.