Asia Bibi è libera. La gioia in questo momento prevale su tutto il resto. Può riabbracciare le figlie e il marito, questa bellissima signora cattolica condannata a morte nel 2010, per aver semplicemente difeso Gesù davanti a colleghe di lavoro, e perciò accusata di blasfemia contro il Profeta Mohammed. Non era vero. Le testimonianze erano fallaci. Dunque assolta, dopo 8 anni di carcere pesantissimo. Gioia allora. Anche per il coraggio dei tre magistrati che hanno deciso di scegliere la verità contro la menzogna propagandistica.
Resta la pena atroce – e lo sa chi ama la propria terra – dell’esilio. Impossibile per lei restare nel suo Punjab: gli islamici radicali farebbero un rogo dove depositarla come una Giovanna d’Arco insieme ai suoi cari. La fede le ha consentito di vivere in cella da donna meravigliosamente libera anche se in ceppi, ma non le risparmia la spada di un’altra sentenza non dichiarata da nessuna corte ufficiale, ma efficace in tutto il mondo: la vogliono morta. Perciò dovrà vivere nascosta dovunque ella si rifugi. Faccia in fretta, che ogni ora è un pericolo (probabilmente sarà ospitata in Canada dove già vivono le figlie).
Ci tocca essere contenti, però. La mobilitazione internazionale è riuscita a impedire un’atrocità. Questa è un’evidenza di cui tener conto davanti a chi tentenna per paura di peggiorare le condizioni di altri cristiani. Giusto: si tratta con l’amore di dosare durezza e dolcezza: è la virtù della prudenza. Ma noi esponiamoci, accidenti.
Ora è importante che il rapporto tra gli Stati e i parlamenti spinga a espungere dal codice di quel Paese la legge contro la blasfemia, che resta lì, sempre oliata e funzionante come trappola per chiunque manifesti la fede cristiana, o quella induista. I cristiani sono massimamente esposti in quanto minoranza che non accetta le lusinghe dell’apostasia. Sono tre milioni e centomila, l’1,5 per cento di una popolazione di 220 milioni. E sono i più poveri, proprio perché in quanto cristiani sono emarginati, sono “lo scarto” perseguitato. Resistono. Quanto dovremmo imparare da loro!
Trovo molto coraggiosi i tre giudici della Corte suprema, e specialmente il presidente: hanno resistito a pressioni enormi che già avevano piegato il governo. Nel novembre scorso c’era già stata l’assoluzione definitiva. Ma ci sono state sommosse orchestrate dal Partito Tehreek-i-Labbaik Pakistan (Tlp). I fondamentalisti bloccarono le principali città del Pakistan, minacciarono di morte i giudici del tribunale supremo e l’avvocato della donna, Saiful Malook. Il governo cedette al ricatto, e accettò di trattenere in patria Asia e di sottoporla a un nuovo giudizio in sede di revisione del processo.
Il quotidiano locale Dawn riporta ampi stralci del dibattimento in aula, citati da Asianews.it. Asif Saeed Khosa, presidente del tribunale supremo, è stato ironico: “Il verdetto è stato emesso sulla base delle testimonianze. Per caso l’islam dice che uno deve essere colpito anche se egli non è colpevole?”. Poi, riferendosi all’avvocato querelante: “Ci dimostri cosa ritiene che sia sbagliato nel verdetto”.
Il legale ha sostenuto che non erano stati presi in considerazione dei testimoni. Il capo del tribunale ha replicato: “L’islam afferma che una persona chiamata a testimoniare deve dire il vero, persino se dire la verità coinvolge qualcuno che si ama”. Con ciò ha respinto il ricorso. E ora rischia davvero la vita, dando testimonianza di un grande coraggio.
Non vediamo l’ora di vedere Asia Bibi tra le braccia del Papa. Sarà festa.