Perché ad Antonio Ciontoli è stata riconosciuta una riduzione della pena? È attorno a questa domanda che si dipanano le polemiche per la sentenza in secondo grado sulla morte di Marco Vannini. Omicidio colposo, non volontario. «Per poter parlare di omicidio volontario va dimostrata la volontà. La Corte d’Assise d’Appello ha applicato il massimo della pena per l’omicidio colposo», ha dichiarato l’avvocato Andrea Miroli, difensore dei Ciontoli, a Quarto Grado. Il legale ha poi aggiunto: «Che poi qualcuno possa dire che vi è sproporzione tra la tragicità del fatto e la pena applicata, questa è una valutazione che non può essere additata ai magistrati». Per la famiglia Ciontoli è una sentenza giusta. «Si è assunto la responsabilità di quello che è accaduto e cioè la morte del ragazzo. Ma ha sempre proclamato la sua indisponibilità ad accettare che lui volesse effettivamente che Marco morisse». A proposito della reazione della famiglia Vannini durante e dopo la lettura della sentenza, ha spiegato: «Le sentenze possono essere criticate, ma c’è stata un’aggressione nei confronti dei magistrati che riteniamo debba rientrare. È un tema che è all’ordine del giorno del Consiglio Superiore della Magistratura, perché sono episodi che si ripetono un po’ troppo spesso». (agg. di Silvana Palazzo)



OMICIDIO MARCO VANNINI, PARLA L’AVVOCATO DEI CIONTOLI

La sentenza giunta al termine del processo d’Appello sull’omicidio di Marco Vannini, a distanza di alcuni giorni continua a fare discutere. L’urlo straziante di mamma Marina si affianca oggi a quello del figlio Marco, ucciso dal colpo di pistola esploso da Antonio Ciontoli, padre dell’allora fidanzata Martina. Eppure, per i giudici del secondo grado, quell’omicidio non fu volontario, bensì colposo. La Corte d’Appello del Tribunale di Roma ha così derubricato le accuse nei confronti del capofamiglia dei Ciontoli, condannato a soli cinque anni di galera – al resto della famiglia, che quella maledetta sera del 17 maggio 2015 era presente nella villetta di Ladispoli, sono stati confermati 3 anni – contro i 14 anni stabiliti in primo grado. A commentare l’esito della sentenza è stato anche l’avvocato Andrea Miroli, difensore della famiglia Ciontoli, il quale ai microfoni di Chi l’ha visto?, ha spiegato: “Certamente è una vicenda drammatica, noi lo sapevamo sin dall’inizio. Però è stata la vittoria del diritto. In un processo si deve parlare di questo. Non poteva che andare a finire così perchè noi sin dall’inizio abbiamo sempre rappresentato il fatto che il dolo non ci fosse nel comportamento di Antonio Ciontoli.



LA VERSIONE DELLA DIFESA DEI CIONTOLI

Antonio Ciontoli, a detta del suo avvocato, non avrebbe mai preso in considerazione la possibilità che Marco Vannini potesse morire: “Mai ha preso in considerazione l’evento morte”, ha ribadito ai microfoni del programma Chi l’ha visto. A suo dire, dunque, se Ciontoli avesse agito in tal modo al solo scopo di salvaguardare il suo posto di lavoro, “la morte di Marco non gli sarebbe servita per perseguire questo fine”. E per questo, spiega l’avvocato, non c’è il dolo. Prosegue il legale spiegando che il suo assistito, moralmente, non si è mai sottratto dalle sue responsabilità ed il loro lavoro, in qualità di difesa, è stato quello di dare a tale responsabilità “la giusta configurazione giuridica”. Confermati i 3 anni già inflitti in primo grado ai restanti membri della famiglia Ciontoli che, secondo il legale, “non avevano la stessa consapevolezza rispetto a quello che era accaduto”. La Corte ha ritenuto comunque che avrebbero dovuto dissociarsi da ciò che gli veniva detto dal padre: “Se lo avessero fatto ed avessero quindi attivato i soccorsi tempestivamente Marco si sarebbe potuto salvare”. Eppure, in quella casa erano in cinque e nessuno si è domandato da dove provenisse il colpo di arma da fuoco. A tal proposito ha contestato l’avvocato: “Sapevano che era partito un colpo di arma da fuoco a salve, è una cosa diversa”. Una versione comunque contestabile poichè, nonostante la convinzione espressa dai Ciontoli in merito al colpo esploso, il rumore non poteva che provenire da un’arma ovviamente non a salve. In secondo luogo, dopo essersi accorti del buco sotto il braccio di Marco – lo stesso che Antonio Ciontoli giustifica come “un buchino sul braccio con un pettine” all’operatrice del 118 – non potevano non ricollegarlo allo sparo udito poco prima. Di tutto ciò però, evidentemente i giudici della Corte d’Appello di Roma non hanno tenuto conto.

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