La scorsa notte nel tratto lombardo dell’A1 si è verificato un grave incidente stradale causato dallo scontro di un automezzo con un gruppo di cinghiali che avevano invaso la carreggiata. L’incidente, purtroppo, è stato particolarmente grave e ha causato la morte di un automobilista e il ferimento di altre dieci persone. Così, ancora una volta, si stanno scatenando le pubbliche ire che vorrebbero la completa eradicazione dei sempre più invadenti ungulati.
Al di là del cordoglio per la vittima e della solidarietà per i feriti, il tragico episodio deve farci riflettere sul nostro rapporto con la natura, che è una entità vitale che reagisce alle nostre attività. Ogni specie, compresi i cinghiali, deve il suo sviluppo demografico a diverse cause quali la disponibilità delle risorse e l’interazione con eventuali predatori. La disponibilità di risorse dipende in gran parte dall’abbandono delle campagne: terreni appenninici un tempo in grado di sfamare intere popolazioni rurali sono oggi incolti. Nella mia regione, la Liguria, il castagno è chiamato l’albero del pane; per almeno un migliaio di anni, generazioni di miei antenati contadini hanno tratto dallo zuccherino frutto di questa mitica pianta l’energia per la quotidiana fatica. Ma oggi la civiltà della castagna ha terminato il suo ciclo e nessuno raccoglie più i frutti che gli alberi continuano a produrre, fornendo uno straordinario pascolo per le popolazioni di cinghiali. Un tempo l’uomo era il principale competitore del cinghiale, oggi questo adattabile animale non ha praticamente competitori per le abbondanti risorse mentre la predazione da parte del lupo, le cui popolazioni sono anch’esse in crescita, rimane ancora del tutto marginale.
Oltre ad un improbabile recupero delle colture forestali o ad un altrettanto improbabile caccia di sterminio, quali provvedimenti possono essere adottati per evitare al massimo le interazioni pericolose tra uomini e cinghiali?
Innanzitutto, dobbiamo prendere e diffondere la coscienza del problema. In Scandinavia gli incidenti automobilistici che coinvolgono le renne o gli alci sono all’ordine del giorno: i conducenti conoscono il problema e si adeguano. Gli stranieri che entrano nei paesi scandinavi ricevono, alla frontiera, un dépliant che spiega i rischi e le cautele da adottare.
Inoltre, dobbiamo tener presente che la convivenza può essere gestita ma la gestione richiede dei costi. In tutta l’Europa centrale, in particolare in Germania dove i caprioli sono in grande espansione, le autostrade sono racchiuse da una recinzione appositamente studiata per evitare la penetrazione da parte di animali. Inoltre a regolari intervalli di distanza sono predisposti appositi cavalcavia ricoperti di vegetazione che servono agli animali per attraversare l’autostrada senza tentare di penetrare forzatamente nelle carreggiate. Da questo punto di vista noi siamo ancora molto indietro.
Ma la cosa più importante è richiamarci sul reale significato della parola natura: questa non è costituita da cartoni animati o peluche e neppure da morbidi e amichevoli animaletti domestici. La natura è magnifica ma è fatta di dure setole, di unghie e zanne. Noi siamo nati a questa stessa natura, abbiamo vissuto e combattuto in essa, poi ci siamo illusi di averla soggiogata a tal punto da poterla ignorare. Gli incidenti ci ricordano drammaticamente che continuiamo a fa parte di essa. Anzi, io penso che in un rapporto equilibrato con essa sia largamente inscritto il nostro destino.