Il 24 gennaio 2014 finì tragicamente la vita della povera Elena Ceste e lo scorso dicembre sono le motivazioni uscite della sentenza sulla condanna a 30 anni per il marito Michele Buoninconti a delineare come e perché sia avvenuto questo assurdo delitto familiare: «La colpevolezza di Buoninconti è l’unica possibile lettura da dare allo svolgimento dei fatti», scrivono i giudici della Corte di Assise d’Appello di Torino per quanto riguarda il delitto di Costigliole D’Asti, confermati dalla condanna definitiva della Corte di Cassazione. Secondo i giudici, Buoninconti ha mentito fin dall’inizio mostrando la parte del marito premuroso che si ribellava alle accuse piovute contro di lui: «l’uomo commise il delitto a causa della presunta “infedeltà” della moglie in tempi strettissimi e preventivamente studiati». In quel breve lasso di tempo (circa 13 minuti), secondo la ricostruzione dell’accusa il marito di Elena Ceste «commise il delitto strangolando la madre dei suoi 4 figli e poi occultò il cadavere, compatibilmente con il falso alibi già predisposto” attraverso “una serie di azioni ben studiate, così da poter essere eseguite in continuità secondo una cadenza sul filo dei minuti».
LA LETTERA DAL CARCERE
Intervistati dalla trasmissione Pomeriggio 5, i carabinieri che per primi hanno iniziato ad indagare sulla colpevolezza presunta di Buoninconti spiegano come il delitto fu completamente organizzato e pianificato con largo anticipo: il 18 ottobre del 2014 i resti di Elena Ceste vennero rinvenuti, praticamente in maniera casuale, nel canale del Rio Mersa a meno di un km da casa Buoninconti. Da lì in poi una lunga indagine e diversi processi hanno portato alla condanna definitiva a 30 anni, senza sconti di pena per Michele Buoninconti: «mosso dal più atavico dei sentimenti maschili: una sete di dominio unita ad un malinteso senso dell’onore. Buoninconti aveva l’esigenza di affermare il proprio dominio unitamente a un sentimento di vendetta di fronte a tradimenti comprovati. La sua, emerge dalle motivazioni della sentenza, una chiara e premedita volontà omicida ed “evidente volontà di depistare da sé i sospetti e sviare le indagini», si legge ancora nelle motivazioni della sentenza. Dal carcere dove è recluso ormai da tempo, l’ex vigile del Fuoco a dicembre ha scritto una lettera dedicata alla moglie: «Sogno Elena vestita di bianco, mi apre le braccia e mi sorride». Si dice innocente, ma nessuno dei tre gradi di giudizio gli ha creduto.