Quando si legge o si parla del Bosco di Rogoredo sembra non si possa far niente, non sia possibile fare alcunché, che sia una battaglia persa. Quella ormai è una situazione – e una condizione, quella che vivono i ragazzi tossicodipendenti – troppo incancrenita, troppo lasciata andare.
Non è così, non può essere così. Si può sempre provare, si può sempre cambiare! Sicuramente i più interessati a cambiare sono gli stessi ragazzi che sono vittima della droga, sono i loro genitori.
Provo a immaginare una possibile serie di azioni, il cui “combinato disposto” sia l’immediata interruzione del circolo vizioso: partenza dal Bosco di Rogoredo, arrivo in Duomo, associazioni di volontariato che assicurano il cibo e il vestiario, elemosina per l’acquisto della dose, ritorno al Bosco, acquisto della dose.
Un’azione ben congegnata e preparata delle forze dell’ordine che massicciamente assicurano alla giustizia il maggior numero possibile di spacciatori che gravitano intorno al parco. Occorre che il fronte dell’offerta delle sostanze venga maggiormente e severamente affrontato, limitato, posto nella condizione di non nuocere, di non alzare o rialzare troppo la testa.
Le associazioni di volontariato non assicurano più la fornitura del cibo e di altri aiuti: per tanti tossicodipendenti è importante trovarsi senza più aiuti, affinché in loro possano muoversi delle energie di recupero, di riscatto…
Simultaneamente organizzare il ricovero dei ragazzi “abitanti” del parco, a piccoli gruppi, in strutture di accoglienza, precedentemente allestite, preparate e organizzate allo scopo; nelle quali – insieme ai ragazzi, ma, forse anche con modalità supportate da una certa imposizione, da una certa iniziale obbligatorietà – vengano fortemente aiutati, rifocillati, indirizzati verso percorsi di sicuro recupero e reinserimento.
Ultima azione, occorre organizzare intorno al parco un cordone di protezione, di sicurezza, affinché in esso non sia più possibile, per un lungo periodo, accedervi.
Sono brevi, estemporanei accenni di possibili provvedimenti, che certamente sollevano il drammatico, annoso problema della possibile (inevitabile?) utile coercizione degli interventi e della cura in certe situazioni, per certe persone, in alcune condizioni… Insomma, quando una persona – ma qui si tratta addirittura di centinaia di persone – drammaticamente e violentissimamente procura del male a sé stesso e agli altri, ripetutamente, giorno dopo giorno, con un’escalation preoccupante e paurosa, quando una persona non si vuol fermare, non può con le sole sue forze fermarsi, è proprio vero che non si possa far niente, che nessuno possa intervenire, che non ci siano mezzi e strumenti per intervenire, possibilità per impedire i suoi atti? L’unica possibilità è che si fermi da solo, che lui e solo lui maturi la convinzione di fermarsi, di cambiare vita?
Quest’ultima domanda non poniamola ai genitori dei ragazzi tossicodipendenti: della buona risposta sono ben sicuri. Nemmeno ai ragazzi stessi: guarda caso, anche loro, una volta lontani dall’emergenza, dalla crisi acuta, dalla crisi di astinenza, dicono, ammettono e affermano che se qualcosa e qualcuno non li avesse in certo modo e in certo grado obbligati non ce l’avrebbero mai fatta.