Per lo Stato sono fondamentali nella lotta contro la criminalità organizzata, ma i cosiddetti “collaboratori di giustizia”, o pentiti che dir si voglia, potrebbero essere portati a domandarsi ad un certo punto se ci sia una reale “convenienza” a tradire la propria famiglia di ‘ndrangheta se il prezzo da pagare per una nuova opportunità rischia di tradursi nella perdita della vita. Un po’ com’è successo la vigilia di Natale a Marcello Bruzzese, fratello di Girolamo, pentito di ’ndrangheta, ucciso da una criminalità che non dimentica. Il giorno dopo l’uccisione, come riportato dal Corriere della Sera, il ministro Salvini disse che Bruzzese aveva chiesto di uscire da tempo dal programma di protezione. Ma se molti decidono di rinunciare alla protezione dello Stato è perché quest’ultima non si rivela efficiente, anzi. E a quel punto tanto vale provare a far da sé, ragionare con la propria testa e con quella dei killer che sperano di trovarti per fartela pagare, invece di rischiare per errori marchiani e disattenzioni altrui.
COSI LA ‘NDRANGHETA SCOPRE DOVE SI NASCONDONO I PENTITI
Emblematica della situazione di molti pentiti è proprio la vicenda di Marcello Bruzzese. Nel suo alloggio, già in passato, avevano abitato dei collaboratori di giustizia. La gente è attenta, scruta le abitudini dei nuovi vicini: si insospettisce se se non vede il cognome sul citofono, se l’accento del nuovo arrivato è del Sud e se quest’ultimo esce poco, non lavora mai. Il colmo, però, è che la “paga” di pentito arriva direttamente per mano di agenti di polizia con tanto di gilet identificativo delle forze dell’ordine, con tanto di pistola che fa capolino: decisamente impossibile non insospettirsi. La moglie di un collaboratore di giustizia sentita dal Corriere della Sera, ha spiegato:”Gli alloggi per i pentiti sono sempre gli stessi. Ad Aosta ci diedero una casa in piazza Chanoux. Prima di noi c’era stato un collaboratore che durante il periodo di copertura aveva messo su un traffico di stupefacenti. Ricordo che alla nostra porta bussavano i narcos, che evidentemente non aveva pagato, chiedendoci di saldare il conto”. Un altro collaboratore calabrese ha spiegato la mentalità della ‘ndrangheta: nella prima fase, quando si inizia a comprendere che c’è un “traditore”, c’è il tentativo di farlo fuori al più presto (lui stesso ha subito due agguati in dodici ore ai quali ha preso parte anche il padre, perché è il parente più prossimo a dover lavare l’onta del tradimento). Se invece il pentito ha già “cantato”, allora in quel caso c’è la fase due: il collaboratore di giustizia viene incredibilmente rintracciato, avvicinato e invitato a non parlare più. Ma è naturale, spiega il pentito, “se ti mettono nella provincia di Campobasso trovi mezza Crotone…”. Da qui la domanda iniziale e il dubbio, forse lecito, che pentirsi non sempre convenga…