Potrebbe perdere la vista il fotografo italiano Gabriele Micalizzi, rimasto ferito nella zona di Deir el Zor, dove sono asserragliati qualche centinaio di irriducibili dell’Isis circondati dalle forze curde e da quelle siriane sotto la guida degli Stati Uniti. Micalizzi, fotografo di guerra di fama internazionale, è stato colpito dalle schegge di un razzo sparato dai miliziani. E’ stato immediatamente portato in ospedale a Baghdad e dovrebbe tornare in Italia entro 24 ore. Foto di Micalizzi sono state pubblicate sul New York Times, il Wall Street Journal e in Italia da Espresso, Repubblica e Corriere della Sera. Collaborava anche con Andrea Rocchetti, giornalista rimasto ucciso nel 2014 in Ucraina. Ne abbiamo parlato con Gian Micalessin, inviato del Giornale, uno dei più noti reporter di guerra.



Quando succedono episodi come questi, molti si domandano se vale la pena rischiare la vita per fare il fotografo o l’inviato di guerra, dimenticando che senza gente come voi non avremmo l’informazione. Cosa significa essere un inviato di guerra? Vale la pena?

Perdere la vita o anche soltanto la vista per una foto o per un articolo non vale certo la pena. Certo è che a volte per raccontare delle storie sei inevitabilmente portato a rischiare qualcosa di più. Fa parte della logica del mestiere. Si spera sempre non succeda, però anche con tutte le precauzioni l’incidente in zone di guerra capita, purtroppo.



E’ un rischio che mettete sempre in conto, sembra di capire.

Fa parte della passione, come avviene per chi fa il pilota di F1 o più banalmente il poliziotto o il carabiniere. Tutti costoro sanno che ogni giorno rischiano la vita.

Però il vostro è anche un servizio che fate alla gente, forse la cosa più importante.

Certamente è un servizio ma è anche frutto della nostra passione. Nessuno ci obbliga ad andare in zona di guerra, nessuno manda gli inviati in zone di guerre contro la loro volontà. Dobbiamo piuttosto insegnare ai giovani che si avvicinano a questo mestiere che l’importante non è rischiare ma portare a casa il servizio e con il servizio anche la pelle.

L’episodio è accaduto in una zona che è stata definita l’ultimo bastione dell’Isis, può dirci dove e cosa sta succedendo?

Si tratta del villaggio di Deir el Zor, un villaggio sul delta dell’Eufrate quasi al confine con l’Iraq dove si trovano da tempo asserragliati alcune centinaia di irriducibili dell’Isis che vi si sono trincerati.

L’offensiva è guidata dagli Stati Uniti e vede i curdi e i soldati governativi siriani impegnati?

Sì, è un attacco all’ultima roccaforte dell’Isis.

Ci sono voci che dicono che cerchino di fuggire a ovest, in territorio siriano, le risulta?

Difficile dire dove vogliano andare perché sono circondati. Secondo me puntano a superare il confine con l’Iraq per rifugiarsi in quelle grandi zone desertiche, oppure verso ovest in quella zona grigia del deserto siriano dove peraltro ci sono ancora unità dell’Isis in azione.

Se andranno in Iraq saranno inseguiti?

Da quella parte li aspettano le forze speciali americane e le milizie sciite dell’esercito iracheno che non vogliono farsi sfuggire un solo miliziano dell’Isis.

Secondo lei questa battaglia, viste le forze in campo, è destinata a risolversi con l’uccisione di tutti i miliziani?

Penso di sì, perché questi non hanno intenzione di arrendersi, sono in gran parte combattenti stranieri che sanno che finirebbero tutti sul patibolo in caso di resa. Non si sa se ci siano anche figure importanti dell’ex califfato islamico, al Baghdadi sarebbe fuggito di qui già da alcuni mesi. Non sarà comunque la battaglia finale, perché ci sono piccoli gruppi dell’Isis sia in Iraq che in Siria come già era successo alla fine della guerra contro al Qaeda.

(Paolo Vites)