Marco Pantani se n’è andato il 14 febbraio del 2004, il giorno di San Valentino, un’occasione romantica e un modo tragico per dirsi addio. Morto da solo in un residence di Rimini, l’hotel “Le rose”, abbattuto pochi anni dopo il decesso del Pirata, vittima dei suoi fantasmi, di una solitudine all’interno della quale si era confinato, ma forse anche di qualcos’altro. Perché restano tutti i dubbi sulla sua morte, a distanza di anni e di un tempo lungo che non è stato in grado di cancellare i tanti perché dei suoi tifosi, quelli che ancora oggi scrivono sulle strade del Giro la scritta “Vai Pirata”, come se lo scalatore romagnolo autore della doppietta Giro d’Italia-Tour de France 1998 fosse ancora presente, più che mai vivo, quasi immortale. Così come restano intatte e senza risposta le domande di mamma Tonina su un’inchiesta che ha archiviato in fretta e furia la morte di Pantani come quella di un drogato vittima di overdose da cocaina. Eppure i segnali contrastanti, in merito, sono tanti…
MARCO PANTANI E’ STATO UCCISO?
Ci sono innanzitutto le testimonianze degli operatori del 118 (come testimoniato da Le Iene), quelli che per primi hanno tentato di soccorrere Marco Pantani. Non c’era nulla da fare quel 14 febbraio del 2004, il Pirata era già morto, ma gli uomini e le donne allertati dal residence Le Rose di Rimini sono sicuri di una cosa: quella pallina di pane e cocaina, che in tutti i filmati degli inquirenti spunta nelle vicinanze del cadavere di Pantani, quando loro sono arrivati non c’era. Sono testimonianze che sembrano quasi suggerire la volontà di inscenare una morte per overdose. Gli psicofarmaci presenti nella stanza d’albergo c’erano, ma ad esempio tra gli operatori del 118 c’è chi giura di non aver visto neanche una traccia di cocaina. E anche la ricostruzione di un Pirata preda dei propri deliri, al punto di aver distrutto la sua stanza, cozza con l’analisi della scena in cui la sua tragica morte si è consumata. Basta prendere in esame un punto: il bagno in disordine, sembra essere passato un ciclone, ma perché il vetro sul lavandino, che pure risulta rovesciato e staccato dalla parete, non presenta nemmeno un’incrinatura? Quasi che fosse stato poggiato…
LE RICHIESTE DI AIUTO DI PANTANI
Marco Pantani non era più da tempo il Pantani che aveva infiammato l’Italia, portando il ciclismo ad un livello di popolarità senza precedenti. Si allenava poco, la batosta decisiva per la sua carriera era arrivata il 5 giugno del 1999, durante un Giro d’Italia che stava letteralmente dominando. Risultò positivo ad un controllo anti-doping, il suo ematocrito venne trovato un po’ più alto dei livelli di norma: secondo le regole Uci avrebbe dovuto star fermo una 15ina di giorni per propria sicurezza personale, ma fu quello l’inizio della fine. Non accettò mai quel responso, si sentì “fregato”. Al punto che anche sul suo passaporto, preda degli psicofarmaci, la notte della sua morte Marco Pantani scrisse parole che vennero interpretate in seguito come una sorta di testamento, una denuncia contro un sistema che aveva punito soltanto lui. Tempo dopo il noto criminale Renato Vallanzasca riferì che proprio in quel Giro 1999, mentre si trovava in carcere, un detenuto legato alla camorra gli domandò se volesse scommettere contro Pantani. Ma come, Pantani sta dominando, rispose Vallanzasca: dall’altra parte arrivò la risposta sicura di chi assicurava che il Pirata quel Giro d’Italia non lo avrebbe concluso. Tanti dubbi insomma, il Pirata vittima di un complotto, un delitto insabbiato fatto passare per una morte frutto delle droghe, e poi quelle richieste d’aiuto rimaste inascoltate dalla reception, il desiderio di chiamare i carabinieri perché delle persone lo disturbavano. Nessuno chiamò nessuno, ma forse non erano deliri. Forse erano l’ultima invocazione di un campionissimo che provava ad essere salvato, dopo essere stato affondato.