È Natale, è Natale, è la festa dei bambini….. È la festa dei cretini!”. Con questo soave scambio di battute, Giovannino Guareschi, in una delle avventure dello Zibaldino, esilarante diario di vicende familiari di fine anni Quaranta, raccontava un momento di vita domestica in previsione delle festività fra Albertino, il pacato primogenito, e Carlottina, la Pasionaria, la scatenata piccola di casa.



Ebbene, la stessa cosa potremmo dire, forse, oggi a proposito della banalizzazione della festa di San Valentino. Sì, perché di ricordi del Santo martire oggi c’è ben poco nel piattume, e anzi, nella melassa dilagante. E anche nella sbruffonaggine imperante. Per esempio: che cosa dovremmo dire se in classe ci capitasse, proprio mentre ci apprestiamo ad affrontare le Rime petrose dantesche, di assistere alla consegna in diretta di un gigantesco mazzo di rose rosse alla bella della scuola? Non essendo mai stata destinataria di cotanto omaggio a sedici anni (complici i brufoli e i capelli color topo), direi che posso capire il malumore delle compagne (e, personalmente, sarei stata tentata di interrogare subito la soave fanciulla). Però però, come sempre, ogni fatto è degno di suscitare, oltre a una reazione di primo livello, una riflessione più approfondita.



E quindi, proviamo a guardarci intorno. Ormai San Valentino non è tanto “la festa degli innamorati”, che evoca gentili memorie dei poetici fumetti dei Peanuts, con tanto di Charlie Brown che sogna, invano, di ricevere una “Valentina” dalla Ragazzina coi Capelli Rossi o di trovare il coraggio di dichiararle il suo sentimento.

Adesso, invece, troviamo non solo una mercificazione smodata, tra cioccolatini, pelouche, omaggi vari ed eventuali, cene a tema nei ristoranti, offerte dalle agenzie di viaggi per fine settimana romantici, il tutto all’insegna di una sdolcinatezza insopportabile; in generale, se guardiamo al mondo degli adolescenti e ormai dei preadolescenti, troviamo una precocissima adultizzazione. Per cui, se anche nelle classi della scuola primaria non pochi bambini dicono di avere “la fidanzatina” o viceversa (incoraggiati e anzi incentivati e spronati, molto spesso, dagli adulti, zii e nonni), succede anche che, se in una terza o quarta classe di secondaria di secondo grado, una studentessa o uno studente non abbia il ragazzo o la ragazza, venga guardato come una mosca bianca, quando non come l’elemento “sfigato” (per usare un icastico aggettivo tanto caro alle nuove generazioni) del gruppo, quasi che fosse una una bestia strana chi non soggiace a questo invito martellante all’adultizzazione (perché, ricordiamocelo, questo significa un nuovo, potenziale, ghiotto e amplissimo mercato).



E poi, quanta melassa! Come “ci menano il torrone” – per dirla alla lombarda – con questa storia del romanticismo per forza, che poi è quanto di più lontano dallo spirito del “vero” Romanticismo! Il che, in una classe quarta o quinta superiore, tra l’altro, sarebbe un’ottima occasione di approfondimento storico-letterario sulle origini e le diverse declinazioni del Romanticismo, dalla Germania all’Inghilterra, alla Francia e all’Italia. Insomma, un po’ come quando, spiegando Platone, i fanciulli, leggendo la conclusione del Simposio, scoprono come l’espressione “amore platonico” sia una banalizzazione bella e buona.

Per ovviare al dolciastro imperante, esce in libreria proprio oggi 14 febbraio, un libro che racconta di una donna che ha fatto la storia: Olimpiade regina di Macedonia. La madre di Alessandro Magno (Salerno) di Lorenzo Braccesi. La biografia di questa donna, discendente dalla stirpe regale epirota, moglie di Filippo II di Macedonia e madre del mitico sovrano fondatore di un impero universale, ci vaccina da ogni deriva sentimentaloide: sovrana in un mondo in cui il potere era appannaggio solo maschile, Olimpiade lo esercitò, pur se denigrata proprio per il suo essere donna, con polso fermissimo.

Certo, qualche poco commendevole episodio c’è (probabilmente, fu la mandante dell’omicidio di Filippo, e riservò un pessimo trattamento all’ultima giovane moglie di costui e alla figlioletta della coppia, giusto per citare due esempi); ma ella fu anche madre attentissima, dotata di una visione politica lungimirante, con un peculiare senso dell’umorismo, in contatto epistolare costante con il figlio durante gli anni della conquista dell’Asia; infine, Olimpiade fu anche capace di alcuni gesti di generosità inaspettati e pure inauditi per i tempi in cui visse.

Forse non fu proprio un modello da seguire, certo, ma sicuramente è una figura che ci vaccina dalle facili para-romanticherie all’insegna delle facili rime “cuore-amore”.