Quando uno speculatore navigato come George Soros si occupa di politica, ricade inevitabilmente nell’ideologia. Le ideologie non hanno storia, Marx docet. Dunque, anche in questo caso, vale la pena richiamare John Maynard Keynes: “Il problema non consiste tanto nello sviluppare nuove idee, quanto nel fuggire da quelle vecchie”.
La via di fuga, nel ragionamento di Soros intorno allo stato della Ue e della politica europea, non è alle viste: la marmellata ideologica è preconfezionata.
Soros parla di qualcosa che, allo stato dell’arte, è già in atto: la dissoluzione dell’Europa. La Ue non esiste come unità politica, sta cedendo sul piano dell’euro come valuta globale dell’area occidentale e ha contro due terzi dei cittadini capaci di intendere e di volere. E’ solo una questione di tempo, il conto alla rovescia è cominciato.
Paolo Savona, già da tempo, aveva tematizzato l’euro a due velocità, oggi quella ipotesi, in un dissesto dell’area mediterranea e senza la trazione tedesca, dimostra, a un tempo, la sua lungimiranza e la sua dimensione utopica.
L’Europa è un non-luogo, nel quale può accadere tutto e il suo contrario e che, a ben guardare, nella sua intima natura totalitaria non ha niente da invidiare alla vecchia Unione Sovietica. Ecco, allora, che il Soros che ragiona di storia comparata, mettendo a fuoco un’Europa che rischia di dissolversi come l’Urss nel 1991, non può che suscitare una reazione ironica, nella migliore delle ipotesi. L’Europa è già un guscio vuoto, e l’eurocrazja si regge in piedi come gli ultimi comitati centrali della vecchia Unione Sovietica, tra barocchismi commissariali e colpevole negligenza strategica.
Che il 2017 abbia visto la Ue fallire nella riforma – mai voluta e tentata – del Trattato di Dublino, ponendo così alle strette l’Italia, con conseguente rafforzamento di Lega e 5 Stelle, è l’ideologia che Soros si pregia di diffondere ai benpensanti dell’emisfero sazio e disperato del mondo iper-globalizzato, ma è una fandonia colossale. La linea anti-Europa ha una storia almeno ventennale e il climax della questione degli sbarchi è solo l’ennesima forma di scollamento dall’establishment burocratico. E’ pura ideologia spacciare l’effetto per la causa. Non vale neanche la correlazione diretta, perché ciò significherebbe negare il fallimento oggettivo del progetto strategico della Ue, con acclusa l’implosione prossima ventura dell’euro. Quest’ultimo è il tema del giorno degli economisti tedeschi, non a caso.
Gli “europeisti” non vincono e non vinceranno, neanche trattandosi di Calenda, politico che stimo, semplicemente perché si sono mossi con vent’anni di ritardo e ciò sta diventando il marchio di fabbrica della peggiore sinistra che l’Italia e l’Europa abbia mai avuto. Straripante di nichilismo (ma quali “valori fondanti l’Europa”!), la sinistra, schiacciata tra bancocentrismo e “burocratismo” acritico, ha perso tutti i treni della storia e oggi non può che versare lacrime su una profezia che si è perfettamente avverata.
Un giorno qualcuno metterà mano al nesso tra il crollo del regime sovietico, la nascita del regime burocratico (Maastricht, 1992), il golpe definito da taluni “rivoluzione”, leggi “Mani pulite” o “Tangentopoli”, a piacimento, e la nascita di uno squilibrio strutturale permanente definito ideologicamente “Seconda Repubblica”. Quando un Paese passa dall’essere la quarta potenza economica mondiale a un cantiere a cielo aperto della crisi permanente, le chiacchiere stanno a zero. E ciò è avvenuto in due decenni, giusto il tempo di inserire l’incastro Ue in mezzo all’arredamento di casa Italia. L’Italia non cresce più proprio dal 1992.
Nella storia, chi rompe paga, solo che i cocci, purtroppo, non sono solo suoi, ma toccano anche a chi subisce le conseguenze di certe scelte. Ecco la storia, caro Soros, il resto è paccottiglia ideologica, inclusa l’apologia di un capitalismo che non c’è.