Due bulli accusati di violenza sessuale nei confronti di tre compagni di scuola sono stati “assolti” perché troppo giovani per una condanna. Questa, come riportato dal Corriere della Sera, la motivazione con cui il sostituto procuratore ha chiesto al giudice per le indagini preliminari del Tribunale per i minorenni di Venezia il “non doversi a procedere” nei loro confronti. Una quarta vittima aveva rinunciato a sporgere querela. Si tratta di episodi gravissimi, ma i due bulli all’epoca frequentavano l’ultimo anno di scuola media in un paesino dell’Alto Vicentino. Avevano 13 anni, quindi per la legge italiana non sono imputabili. Questa è la stessa normativa che aveva permesso a un 13enne veronese di evitare una condanna per omicidio del clochard Ahmed Fdil, compiuto con la complicità di un amichetto di 17 anni. Nel caso dei due bulli, il sostituto procuratore non ha dubbi sulla loro colpevolezza. «Emergono elementi idonei per l’attribuzione della responsabilità dei fatti agli indagati infraquattordicenni». Il gip deve ancora esprimersi, ma con ogni probabilità non potrà fare altro che accogliere la richiesta del magistrato.



VICENZA, VIOLENTARONO COMPAGNI: NIENTE CONDANNA

Le violenze dei due bulli risalgono agli ultimi mesi del 2017. Avevano preso di mira quattro coetanei. A quanto pare, gli insegnanti erano intervenuti diverse volte. Ma durante un incontro uno dei ragazzi raccontò cosa era costretto a subire. Le insegnanti chiesero agli alunni di scrivere un tema a tal proposito. Da quegli scritti è emerso il loro dramma fatto anche di umilianti atti sessuali. Da qui l’accusa da cui è scaturita l’indagine. La preside, come riportato dal Corriere della Sera, spiegò che se i due ragazzini agirono indisturbati per mesi è stato anche perché nessuno studente ha trovato il coraggio di denunciare cosa stava accadendo. Ora la vicenda si chiuderà senza alcuna condanna per i giovanissimi bulli, ma le indagini coordinate dalla procura per i minorenni di Venezia hanno confermato la ricostruzione delle vittime e potrebbero portare ad una richiesta di risarcimento danni in sede civile, «anche se i soldi sono l’ultima cosa che interessa alle famiglie degli studenti coinvolti», precisa l’avvocato Daniela Marchioro che assiste le famiglie delle vittime.

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