Sfondare è verbo d’assalto: porte sfondate, muri sfiancati, è materia solida che si piega sotto pressione. E’ verbo di vittoria: sfondato, fracassato il nemico, affondato. Lui, Manuel Bortuzzo, diciannove anni, a quel verbo aveva appeso il destino: “Ho detto (ai miei genitori) che ero pronto a sfondarmi di fatica pur di stare tra i migliori, un pesciolino in mezzo agli squali. Una promessina che vuol diventare promessa”. Sognare le olimpiadi a diciannove anni è dichiarare guerra all’ozio, a tutte le sue seduzioni. Prima tra tutte la tentazione del divano, guardare la vita dal divano. Il suo credo è una professione di fede nella fatica: per migliorarsi, l’unica strada da percorrere è quella di confrontarsi coi migliori. E’ la legge prima dello sport: “Se volevo recuperare dovevo andare dai migliori”. Per confrontarsi con i migliori, le cui facce sono appese come reliquie al muro della propria cameretta: “La fatica non è mai sprecata – scriveva Pietro Mennea -: soffri ma sogni”. Come dire che la fatica è il miglior cuscino per non appisolarsi. Lo sportivo non lavora, fatica.
Da Treviso ad Ostia, viaggio di sola andata: l’investimento occupa l’intero spazio di un sogno. Nella notte, l’urlo: “Figlio di puttana, questa piazza adesso è nostra”. Un urlo, tre colpi di pistola: il midollo spinale che cede, il cervello che divorzia all’istante dagli arti, una statua che si flette come un lenzuolo senza lo stendino. E’ tutto un mondo che trema, c’è tutto un mondo che si aggrappa alla fragile speranza di questo ragazzo emigrante-per-passione. l’Italia lo adotta, se ne innamora, sfonda i notiziari per sapere se ce l’ha fatta ad uscire dal coma. E se ce l’ha fatta, com’è uscito da quel tunnel più lungo di qualsiasi altra vasca del nuoto.
Quando si sveglia, il benvenuto ha il sapore di una beffa: a lui, venuto al mondo per avanzare nell’acqua con gambe, piedi e bracciate, qualcuno dovrà pur dirgli che non potrà più camminare. E’ l’annunciazione di Lucifero all’uomo: “Ti sei sfondato di fatica, ma non è servito a nulla. Hai perso, è stato tutto tempo perso!” Anche no: “Non è il carico che ti spezza, è il modo in cui lo porti” (Lena Horne). Quando si sveglia, restituisce a Lucifero la sua annunciazione, e come tramite sceglie lo sguardo di sua madre, aggrappata pure lei al destino di quel figlio che nuota tra la vita e la morte: “Fatti coraggio, mamma! – le dice mentre (ri)apre gli occhi – Ora, per me, comincia un altro allenamento”. Sfondarsi per la vita, come prima ci si sfondava per il mezzofondo: “Tornerò più forte di prima”.
Acilia è sotto shock. Il quartiere è soffocato di divise, il Male stavolta teme il male, la pressione è così dissennata che qualche mosca cocchiera costringe i killer a costituirsi. Si presentano in questura (ri)vestiti di quella stupidità che mai non finisce di stupire: “(Abbiamo sbagliato), non volevamo colpire lui. Era buio”. Tragico scambio di persona, come se ammazzarne invece un’altro fosse stata una cosa ammessa. Il Male è fatto così: è bastardo, ignorante, scemo, balordo, analfabeta. E’ un pipistrello che odia la luce. Lui, Manuel, dal letto d’ospedale segue tutta la trafila. “Provi rabbia verso costoro, Manuel?” gli chiedono. Come risponde lui è un trattato per sfondare per sempre il male, alla radice: “Rabbia verso di loro? No, non ne provo, non la meritano. Sono già sfigati di loro a vivere in un ambiente del genere”. Dove l’ambiente non è Acilia ma tutto quel sistema criminoso che fa di un lembo di terra una porzione d’inferno. Perché la sfiga non è essere nati ad Acilia, ma essersi convinti che la vita sia una sorta di roulette ad eliminazione, una lotta di tutti contro tutti, un’eterna sassaiola.
“Mi dispiace per i loro figli, ho letto che ne hanno. Mi domando cosa persone del genere abbiano da insegnare ai bambini”. Sfigati, ha detto bene Manuel: chissà se qualcuno, a loro, avrà raccontato storie di bellezza e di bontà, d’eroismo e di sudore. Chissà se qualcuno, a volto scoperto, li avrà mai guardati nel volto. Se si saranno lasciati guardare negli occhi: che sfiga vivere così. Sfigati coloro per i quali basterà vivere una vita così, la vita del somaro di zio Checco. Perché oltre ad essere sfigati, un ragazzo li ha sfidati, disposto a sfondarsi per sfidarli fino all’osso: “Tornerò più forte di prima!”. E loro più deboli di quello che già erano.