Un’attenta analisi della letteratura scientifica mostra ancora una volta i rischi della cannabis. Un gruppo di ricercatori canadesi e inglesi ha analizzato tutta la letteratura scientifica disponibile, partendo da 3.142 studi scientifici, selezionando quelli inerenti al tema, e analizzando come l’uso di cannabis prima dei 18 anni sia in relazione con lo sviluppo di eventi avversi tra i 18 e i 32 anni. La conclusione è che si nota un aumento di sintomi depressivi e di tentati suicidi nei giovani che hanno fatto uso di cannabis da adolescenti. Il lavoro è stato pubblicato sull’autorevole rivista scientifica JAMA Psychiatry di febbraio, organo dell’American Medical Association.
Cosa ci dice questo studio? Che la distinzione tra droghe leggere e pesanti non ha molto senso, dato che anche quelle che si vorrebbero legalizzare o depenalizzare, perché ritenute meno “forti”, in realtà creano problemi di forte impatto personale e sociale. Probabilmente si confonde la larga diffusione con una presunta minor nocività, ma si è autorizzati dalla scienza a fare questa equazione? Pare proprio di no.
D’altronde, un altro studio, questa volta australiano, aveva mostrato che l’uso di cannabis negli adolescenti provoca alterazioni funzionali nella corteccia cerebrale, in particolare nella regione prefrontale, quella che controlla volontà e determinazione.
Certo, esistono altre fonti di intossicazione per i giovani, come alcol o tabacco, e altre forme di assuefazione come il gioco d’azzardo o l’uso compulsivo dei mass media, e in questi campi urge una manovra forte, perché sono tutti potenziali rischi per la salute. I governi e le società scientifiche mettono in guardia anche da questi fenomeni di nuova dipendenza o di accresciuto rischio: aver creato campagne anti-fumo è stato importante in molti Paesi per diminuire i danni da tabacco.
Ma non si può proporre, come fa qualcuno, che dato che ancora sono legali i suddetti fenomeni di dipendenza (alcol, tabacco eccetera), allora si debba legalizzare anche la cannabis e poi altre droghe da “sballo”; semmai è vero il contrario: la diga che ancora tiene per far argine all’immissione legale sul mercato della marijuana, deve essere esempio per arginare gli altri fenomeni distruttivi per i giovani (e non solo per loro).
Ma “tiene” questa diga? In realtà, la marijuana è diffusa, chi vuole sa dove procurarsela; quindi siamo di fronte a una diga poco sicura; e il fatto che lo spaccio sia in mano alla malavita viene preso a motivo per aprire a una legalizzazione per metterla nelle mani pubbliche, come il monopolio del tabacco.
Non ci sembra una grande soluzione: primo, perché le prove di questa liberalizzazione viste in Colorado hanno mostrato che il numero dei consumatori di cannabis è aumentato subito dopo; secondo, perché il messaggio culturale e psicologico che ne viene è una deresponsabilizzazione dello Stato. E’ come se lo Stato dicesse che ha perso la battaglia contro il disagio giovanile e aprisse le porte alle sostanze e ai comportamenti nocivi perché non sa offrire alternative.
Uno Stato moderno e prudente sa che i giovani hanno bisogno di assecondare la loro creatività, di trovare aggregazioni, motivazioni, lavoro, affetti; non può lasciar vivere le persone in un’infanzia protratta fino ai 40 anni, in cui fanno solo i “consumatori” di divertimenti (chi può permetterseli) e in una giovinezza protratta per motivi di mancanza di lavoro. Pensi lo Stato a creare opportunità serie e vere per i giovani, non limitandosi a essere uno Stato-azienda che offre o toglie secondo il mero principio mercantile di offerta/richiesta. Senza questo passo, deve stare attento che ogni apertura a fonti di possibile dipendenza sarà solo un’apertura al suo suicidio come nazione.