Lunedì prossimo Facebook festeggerà il suo quindicesimo compleanno. Anche se non ancora maggiorenne, di strada ne ha fatta un bel po’. Nato da una piattaforma software progettata da Marc Zuckerberg per facilitare l’incontro tra gli studenti dell’Università di Harvard (il suo primo nome: Facemash, e poi Facebook, letteralmente libro delle facce, l’elenco con foto e nomi che in università veniva diffuso per aiutare gli universitari a riconoscersi tra loro) ben presto si diffuse a Boston, Stanford e poi anche nelle scuole superiori. Messo a disposizione dei navigatori internet, al compimento del suo decimo anno di vita è stato in grado di raccogliere un miliardo di utenti attivi contemporaneamente, catturati dal piacere di dialogare tra loro, scambiarsi informazioni utili e scherzi, socializzare condividendo con amici e sconosciuti il proprio profilo con informazioni messe volontariamente a disposizione dal titolare.
Se ne parla sempre come di una clamorosa innovazione, in realtà è l’applicazione concreta – grazie allo sviluppo dei social media – delle intuizioni dello psicologo Abraham Maslow, che negli anni cinquanta aveva elaborato la teoria della piramide che lo rese famoso. Secondo Maslow, per gli esseri umani esiste una gerarchia di bisogni, da lui rappresentata con diversi gradini di una piramide. Se tra i bisogni primari ci sono quelli di nutrirsi, coprirsi, riprodursi, immediatamente dopo vengono i bisogni di avere un ruolo nella propria comunità, di essere riconosciuti e stimati. Che nel linguaggio di Facebook si traduce con l’avere molti like o vedere condivisi e apprezzati i propri post.
Il modello di business della società di Zuckerberg si basa sulla possibilità di vendere pubblicità che i tecnici chiamano “profilata”, vale a dire sempre più tagliata sulla misura delle persone, catalogate a seconda delle proprie dichiarate preferenze in vari campi e su vari argomenti. Già a cinque anni dalla nascita la società era in attivo, e ben presto ha trovato investitori della portata di Paypal, Microsoft e Goldman Sachs.
Alla fine di luglio 2018 la capitalizzazione di Borsa, che era arrivata a 610 miliardi di dollari, è scesa in 24 ore a 510 miliardi, semplicemente a fronte della presentazione di una trimestrale deludente, conquistandosi il primato del crollo record per Wall Street. Ma Zuckerberg non è uno che si perde d’animo, come ha fatto in occasione dello scandalo che ha coinvolto lui e Cambridge Analytica, una società specializzata nel “microtargenting” con raffinate tecniche psicometriche. Detto in soldoni, a dettare scandalo non è stata l’attività di questa società, tanto abile nel disegnare dei profili in base alle azioni degli utenti della rete da poter inviare loro dei messaggi ad hoc anche per le campagne elettorali, ma il fatto che i dati venissero raccolti ad insaputa dell’utente ogni volta che accedeva a qualche servizio tramite Facebook.
Nella sua audizione al Senato americano Zuckerberg si è scusato e ha garantito che non sarebbe più successo, ma questo scandalo ha accelerato l’approvazione – per cominciare – in Europa del cosiddetto Gdpr, un complicato regolamento di tutela della privacy. Che obbliga ad esempio chi raccoglie i dati a far sapere dove risiedono, e anche a chiedere l’autorizzazione per richiederli.
La questione non è così semplice, perché oramai in questo mondo iperconnesso i dati vengono considerati il vero petrolio moderno. Quanti riflettono sul fatto che gli elettrodomestici in rete trasmettono abitudini d’uso e altre informazioni al fornitore? Per non parlare degli assistenti virtuali come Alexa o Google Assistant, cui un numero crescente di consumatori confida senza problemi i propri contatti telefonici o indirizzi mail e altre informazioni riservate. Di fatto, quando si comprano dei biglietti per un concerto on-line, vengono richieste un sacco di informazioni, e se non si accetta di darle non si può perfezionare l’acquisto. Contemporaneamente, molte ricerche sociali confermano poi che gli utenti non hanno problemi – per ora – a concedere la propria privacy in cambio di servizi gratuiti. Zuckerberg tutte queste cose sembra averle previste, dato che nel frattempo ha acquisito Instagram e Whatsapp, che ha mantenuto come piattaforme separate.
Ma qualche giorno fa, ecco arrivare l’annuncio del loro accorpamento. Cosa davvero curiosa, dopo le sue promesse al Senato americano di fare il bravo… Secondo il data protection specialist Davide Giribaldi, nel momento in cui gli utenti di Facebook sono in declino, l’unione delle tre piattaforme consentirà di superare questo ostacolo grazie alla possibilità di profilare, raggiungere e monetizzare una platea sterminata di utenti, dato che invece Instagram continua a crescere e WhatsApp è il sistema di messaggistica più utilizzato al mondo.
Insomma, Zuckerberg è una lepre che corre più veloce degli enti antitrust, come del resto fanno Amazon e gli altri del gruppo denominato Gafa (Google, Apple, Facebook, Amazon), che secondo alcuni nel 2020 saranno la prima potenza economica mondiale. Per vedere cosa potrebbero combinare, basta dare un’occhiata a qualche puntata di Black Mirror, sempre capace di stigmatizzare uno sviluppo tecnologico che mira a sfruttare l’uomo con la promessa di un servizio gratuito.