A me, basta intravederla fuori dal doppio vetro di casa. Una spolverata di neve leggerissima, tipo zucchero sulle chiacchiere di carnevale, che mi scappa via la voglia di uscire. Piuttosto che andare fuori, resto al caldo e mi candido a lucidare i vetri condominiali. C’è invece chi, sotto la neve gelida, ci vuole addirittura …nascere. Ha stupito e commosso la venuta al mondo di Agostino, nato ieri sotto la neve della Val Brembilla: ai primi vagiti del giorno, i genitori non hanno fatto in tempo a raggiungere l’ospedale in auto, causa bufera. Hanno quindi accostato al centro del paese e chiamato il 118. Così Agostino ha aperto gli occhi che era ancora notte, sotto la neve, accanto al sagrato di una chiesa: quel genere di atmosfera dove ci puoi ambientare un torbido film giallo, o una di quelle microstorie alla Guareschi che sanno di promesse e di campane.
Un po’ gli invidio quando – tra anni – racconterà agli amici di come è sgusciato al mondo. Io – se proprio devo uscire con il nevischio – mi copro di lana e gore-tex, mi armo di kevlar. Lui no; Agostino è nato così, ça va sans dire, tutto nudo. Una valanga di stima.
Tanto di cappello e di colbacco anche alla madre del piccolo: che “c’è stata” a partorire su gradini bagnati e duri di una chiesa, magari dopo settimane di corso preparto su materassini in lattice soft-memory.
E poi al padre, che coraggiosamente ha aiutato la moglie: con una mano sul cordone ombelicale e l’altra sul telefonino (il cordone ombelicale di noi mamme con i figli; … vorrà dire qualcosa?). Insomma ieri sera, dai nostri salotti riscaldati come incubatrici, abbiamo tutti pensato a quanto sia stato valoroso l’intero trio.
Sì, perché nascere fuori, “al freddo e al gelo” – come recita il canto Tu scendi dalle stelle – non è proprio da tutti.