Un anno dopo dal carcere arrivano le prime parole di profondo pentimento da Luca Traini, il “giustiziere” razzista che, tre giorni dopo il ritrovamento del cadavere della giovane Pamela Mastropietro, il 3 febbraio 2018 prese a sparare lungo le vie di Macerata contro tutti gli uomini con pelle nera che trovava sulla strada: lo scorso 3 ottobre la prima sentenza lo ha condannato a 12 anni e lui in aula gridò «chiedo scusa, ho sbagliato, ma volevo giustizia per Pamela». Oggi nella lunga intervista ad Ezio Mauro su Repubblica, Traini spiega meglio quel suo pentimento: «Per me gli spacciatori avevano ucciso Pamela, e gli spacciatori erano loro, i negri. Li chiamavo cosi. Oggi li chiamo neri». In realtà, dopo l’iniziale attacco al sistema mediatico che dava in quei giorni gli spacciatori di colore come responsabili della morte della 18enne romana (cosa tra l’altro assai probabile visto lo sviluppo delle indagini ancora in corso su Innocent Oseghale), Luca Traini confessa tutto il suo passato odio xenofobo: «in questi mesi passati in carcere, ho lentamente capito che gli spacciatori sono bianchi, neri, italiani e stranieri – prosegue nel suo racconto ai microfoni di Ezio Mauro -. La pelle non conta. Vede, qui dentro si capiscono molte cose, guardando gli altri e parlando con loro».



UN ANNO DOPO IL RAID: “HO SPERATO CHE MI UCCIDESSERO”

Il raid razzista di Macerata – che per fortuna fece solo feriti e nessuna vittima – resta ancora nella memoria collettivo in un anno in cui tra Governo e opposizioni le accuse di “razzismo” sono aumentate considerevolmente: «Tutta la mia ideologia politica, Dio, patria, famiglia, onore, ha pesato in quel mix esplosivo. La tragedia di Pamela ha fatto da innesco, e ha incendiato tutto. Per me il saluto romano era un gesto abituale. Un rituale simbolico. Lo facevo ogni mattina al sole nascente. Dunque non era una sceneggiata. Certo, dopo gli incontri e i colloqui in carcere, ho cominciato a rivisitare i miei gesti, e si è fatto strada il pentimento. Ma sono due momenti diversi», spiega ancora Traini in merito a quel braccio alzato nel momento dell’arresto lo scorso 3 febbraio. Ora non ha più odio, dice l’ex giustiziere, e prova dal carcere a ricominciare una nuova vita: «Mi sono immaginato un finale scenografico, in cui la polizia avanzava, io non sparavo sugli agenti, e dunque finivo ammazzato. In quel momento speravo che qualcuno mi uccidesse» ricorda ancora al collega di Repubblica. «Voglio laurearmi in Storia adesso», conclude il condannato per il raid di Macerata, «la mia fidanzata Stella viene sempre a trovarmi, mi aspetta. E’ una fortuna, e uno stimolo, una speranza per il futuro».

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