Giovanni Erra racconta la sua verità sull’omicidio di Desirée Piovanelli. Dal carcere di Bollate, dove sta scontando una condanna definitiva a 30 anni per la morte della ragazzina, scrive una lettera pubblicata in esclusiva da Il Giorno. «Non ero in quella cascina mentre Desirée veniva uccisa. Ero in casa, con mia moglie e mio figlio. Dormivo». Ma Erra raccontò di esserci stato con il resto del “branco”. «L’ho fatto per mancanza di lucidità e fragilità, perché in quel periodo ero preda di droga e alcol, perché avevo paura che qualcuno facesse del male alla mia famiglia». All’epoca Giovanni Erra era un operaio 36enne, sposato e padre di un bambino di 8. Era l’unico adulto, tra due 16enni e un 14enne, del cosiddetto “branco di Leno”. Ora ha dato incarico ai suoi legali, gli avvocati Antonio Cozza e Nicodemo Gentile, di raccogliere elementi per produrre una richiesta di revisione. «Non so cosa sia successo in quella cascina ma ho sempre pensato che a uccidere Desirée fosse stato…». E qui Giovanni Erra fa il cognome di uno dei ragazzi di Leno, quello che avrebbe colpito Desirée con un coltello Kaimano comprato al supermercato.



DESIRÉE PIOVANELLI, L’OPERAIO CONDANNATO: “SONO INNOCENTE”

Giovanni Erra si definisce «capro espiatorio» dell’omicidio di Desirée Piovanelli. «Non sono un pedofilo e non lo sono mai stato. Non ho mai avuto contatti con persone del genere», scrive nella lettera pubblicata da Il Giorno. Inoltre, scrive che avrebbe aiutato il padre della ragazza, se avesse saputo qualcosa. «Come loro sono una vittima di quanto successo». E aggiunge: «Non vorrei trovarmi qua perché nei miei confronti è stata fatta una grande ingiustizia». Desirée Piovanelli il 28 settembre 2002 fu attirata nella cascina Ernegarda, a pochi passi da casa sua, col pretesto di mostrare una cucciolata di gattini. Fu trucidata a coltellate per aver respinto con tutte le sue forze un tentativo di violenza di gruppo. Questa è la verità processuale sull’omicidio. Il 1 luglio 2004 la Cassazione ha reso definitive le condanne dei tre minori pronunciate l’anno prima. Ora sono tutti liberi e hanno superato la trentina. Ma questo epilogo non ha mai persuaso il padre di Desirée Piovanelli, che alla fine del luglio dell’anno scorso ha depositato un esposto in Procura a Brescia nel quale ha disegnato un quadro che porta verso una direzione: pedofilia organizzata, con potenti personaggi della zona a caccia di giovani vittime.

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