E’ una sentenza senza dubbio meritevole d’attenzione quella emessa dal tribunale di Treviso nei confronti di un ex moglie “scansafatiche”: i giudici le hanno tolto l’assegno di mantenimento perché la stessa non avrebbe fatto nulla per trovarsi un lavoro. La “vittima”, se così possiamo chiamarla, è una 35enne di origini sudamericane che aveva richiesto al giudice un assegno da 1.900 euro ogni mese nonostante la stessa ne percepisse già uno da 1.100. Peccato però che il tribunale abbia rigettato la richiesta della donna, togliendole altresì il precedente sussidio per via dell’inerzia dimostrata dalla donna nel cercare un’occupazione. «Non vi è stato alcun apprezzabile sacrificio della signora – si legge nella sentenza – durante la vita coniugale, che abbia contribuito alla formazione o all’aumento del patrimonio».
EX MOGLIE SCANSAFATICHE: VIA L’ASSEGNO DI MANTENIMENTO
I giudici hanno ritenuto che la donna aveva un’età, 35 anni, e un titolo di studio, laurea in economia, che le permettessero di reinserirsi nel mondo del lavoro. Gian Ettore Gassani, presidente dell’associazione avvocati matrimonialisti, ha commentato così la storica sentenza: «L’assegno divorzile – le parole rilasciate a Quotidianot.net – si poggia su un principio di solidarietà: non è un atto dovuto. Per ottenerlo non è sufficiente che ci sia un divario economico. La legge impone al coniuge più debole di dare prova in giudizio di aver cercato un lavoro, full time o anche part time: quindi si deve dimostrare di aver tentato di fare concorsi, di aver mandato curricula. Oppure si deve essere nell’assoluta impossibilità di lavorare». In precedenza l’assegno di mantenimento veniva equiparato al tenore di vita durante il precedente matrimonio, un parametro di riferimento utilizzato per quasi trent’anni, con il coniuge con il reddito più alto che doveva versare all’ex partner più debole dal punto di vista economico, una quota ogni mese, ma negli ultimi tempi la legislazione sta via-via abbandonando questo principio.