Chissà, forse davvero si scoprirà che il Boeing 747 Max, l’ultima evoluzione del gigante dell’aria che da decenni trasporta milioni di passeggeri da un capo all’altro del pianeta, ha un difetto di progettazione. Qualche mese fa ne è precipitato uno delle Indonesian Airways, dopo quella che le cronache descrivono come “una lotta contro il computer” di bordo, che continuamente spingeva l’aereo verso il basso. Anche quello che si è schiantato ieri subito dopo il decollo nei paraggi di Addis Abeba aveva – scrive un sito specializzato – “una velocità ascensionale instabile”.
Se fosse vero, che paradosso! L’ultimo ritrovato della tecnologia più avanzata, montato su una macchina supercollaudata, iperaffidabile, la porta al collasso. Ma com’è possibile? I computer, le macchine, i sistemi di controllo “non possono” sbagliare! Moltissimi anni fa, mentre mi lamentavo del mio computer, il ragazzo bravissimo che me lo stava sistemando mi ricacciò il lamento in gola con un lapidario: “C’è dentro il peccato originale di tutti quelli che ci hanno lavorato”. Le macchine sono infallibili, certo. Ma le hanno fatte – progettate, costruite, collaudate… – degli umani. E gli umani sono umani. Sono fallibili. Possono sbagliare; anche quando progettano, costruiscono, collaudano con la massima attenzione.
Generalizzando un po’: da tempo gli umani sognano di eliminare il male dal mondo. “Mentre crescono all’infinito l’intensità e la potenza della vita, la stessa morte indietreggia davanti alla marcia vittoriosa dello spirito umano…”, recitava fiero il ministro francese Alexandre Millerand inaugurando l’Esposizione universale del 1900, dedicata alle meraviglie che la tecnica aveva creato negli ultimi decenni. Oggi qualcuno sogna che l’auto a guida automatica, molto più rispettosa degli umani di limiti, regole e segnali, potrà cancellare il dato vertiginoso di un milione e duecentomila persone che ogni anno muoiono negli incidenti stradali. E così via.
Ma le macchine sono progettate, costruite, collaudate dagli umani. Portano con sé, inevitabilmente, la loro fallibilità. Portano con sé, inevitabilmente, la loro mortalità. Certo, le tecnologie, di ogni tipo, sono migliorate moltissimo, in ogni settore, hanno reso la vita umana infinitamente più lunga, più sicura, più sana di quanto fosse cinquanta o cento anni fa. Ma illudersi sarebbe sbagliato: quel margine di errore, di imperfezione che portiamo con noi rimane. Io credo, rimarrà sempre. A ricordarci che non ci facciamo da noi. Che, come il nostro inizio, così la nostra fine, non dipende – generalmente – da noi. Che siamo umani.