In assoluto i numeri sono sempre quelli che circolano da diversi anni; cambia però il modo di presentarli. Per far breccia sull’atarassica opinione pubblica in tema di inquinamento dell’aria, si punta sul pugno nello stomaco con il raffronto di “un morto ogni 5 secondi”. Un ticchettio raggelante per visualizzare i 7 milioni di morti premature imputabili all’inquinamento atmosferico. Un’emergenza sanitaria denunciata già nel 2014 dall’Organizzazione Mondiale della Salute, più grave di tutte le epidemie e guerre messe assieme. Un problema ambientale di tali proporzioni da suggerire la catastrofica premonizione di un harakiri dell’umanità. “Rischiamo la sesta estinzione di massa”, ha tuonato, la settimana scorsa, David R. Boyd esperto Onu per l’ambiente e i diritti umani, nel meritevole tentativo di avviare una campagna di sensibilizzazione dei governi per il riconoscimento del diritto all’aria pulita tra i diritti fondamentali dell’uomo.



Le ricette di Boyd, il quale è anche l’autore, tra gli altri, di un saggio dal titolo più incoraggiante “The Optimistic Environmentalist” (l’ambientalista ottimista), sono essenziali e condivisibili: vietare le centrali a carbone e spingere per la mobilità elettrica. Se l’inquinamento atmosferico è di gran lunga il più letale dei problemi ambientale, va segnalato che non colpisce in modo omogeneo tutte le aree del pianeta; inoltre, spacchettando il dato complessivo, ci accorgiamo che i combustibili fossili e la mobilità sono il capo d’imputazione perfetto, ma non l’unico, né il peggiore. Per esempio, a sorpresa, risulta che la biomassa è un killer silenzioso micidiale. Infatti, più della metà dei 7 milioni di vittime sono causate da inquinamento in ambienti chiusi, generalmente nelle aree più povere del pianeta. E quale vantaggio possono avere la chiusura di centrali elettriche a carbone o la sostituzione del parco macchine con veicoli ibridi o 100% elettrici, nei confronti dei 2,8 miliardi di abitanti della Terra che si riscaldano e cucinano bruciando legna, carbone o sterco con sistemi di combustione rudimentali?



Gli effetti dell’inquinamento indoor è uguale a quelli del fumo di una razione quotidiana di 2 pacchetti di sigarette, aspirata indistintamente da uomini, bambini, donne in gravidanza. È’ difficile per noi occidentali avvezzi al più ad accendere un fuoco nel caminetto che fa tanto atmosfera, concepire quei 3,8 milioni di decessi per patologie cardiovascolari, respiratorie o tumore ai polmoni, che colpiscono chi è costantemente esposto a un’aria insalubre in casa peggiore di quella che si respira per le strade di New Delhi, Karachi o Pechino. Sovvenzionare stufe a gas Gnl in sostituzione dei rudimentali fuochi avrebbe già un beneficio sulla salute, cosa che infatti alcuni programmi di aiuto internazionale cercano di realizzare.



Ma come spesso avviene, la soluzione apparentemente più razionale e immediata risulta anch’essa imperfetta. Nelle economie più povere dove le famiglie sopravvivono con un dollaro e mezzo al giorno, acquistare una bombola di Gnl è proibitivo e decisamente antieconomico quando ramaglie e residui di coltivazione sono disponibili gratuitamente.

L’inquinamento outdoor riguarda da vicino anche le economie industrializzate. Per uno gioco del caso, proprio a ridosso dell’allarme lanciato da Boyd, sui giornali italiani si ritorna sull’argomento. Bruxelles ha messo in mora l’Italia dove in 10 agglomerati urbani pari a una popolazione complessiva di 7 milioni di persone, si è sforato ripetutamente i valori limite sul biossido di azoto NO2. Già lo scorso maggio l’Italia era stata bocciata dalla Commissione per la qualità dell’aria avendo superato i livelli di guardia di particolato PM10. In Italia dove le morti premature attribuibili all’inquinamento atmosferico superano 60mila unità all’anno secondo l’Agenzia Ambientale Europea (Eea), il blocco del traffico, l’ampliamento della zona blu, assieme alla riduzione della motorizzazione sono azioni importanti ma non risolutive se non sono accompagnate da una larga riqualificazione edilizia e dei sistemi riscaldamento domestico e dall’ammodernamento delle tecnologie di veicoli.

L’avanzamento tecnologico aiuta così come contribuirebbe una maggiore razionalità nel dibattito sulle cause dello smog, focalizzando l’attenzione sul contributo dell’usura di pneumatici e freni nella produzione delle polveri sottili: se, infatti, il tubo di scappamento degli autoveicoli circolanti incide per il 43%, essa influisce per il 57%.