Nei giorni scorsi, un articolo apparso sul Sole 24 Ore (10 marzo 2019) ha generato (o dovrebbe generare) nei cittadini lombardi un senso di smarrimento. L’articolo in questione annuncia il pensionamento del modello di sanità di Regione Lombardia, sostenendo che da quest’anno “il pubblico riprenderà il ruolo di regia” della sanità, corroborando questa affermazione con un virgolettato del presidente Fontana che afferma: “Il pubblico deve tornare ad avere un ruolo centrale nella sanità”. Questo articolo è in realtà il secondo che appare sui quotidiani nazionali, perché segue un primo apparso ad inizio febbraio sul Corriere della Sera, dove anche in quel caso si affermava, con un po’ più di prudenza, che il modello sanitario lombardo era messo in discussione. Per entrambi gli articoli, questo sarebbe il contenuto delle regole di sistema 2019 deliberato dalla Giunta lombarda con la Dgr 1046/2018, un provvedimento che annualmente definisce le regole di dettaglio del sistema sanitario regionale.



In preda allo smarrimento di cui sopra, il cittadino lombardo è corso a leggere il documento dove la giunta Fontana avrebbe spazzato via vent’anni di sanità d’eccellenza perché “Il pubblico deve tornare ad avere un ruolo centrale nella sanità” e perché “il pubblico riprenderà il ruolo di regia”. Ed è così che dopo aver letto le 347 pagine deliberate, il cittadino lombardo ha tirato un sospiro di sollievo, perché in quel documento non si smonta alcun modello sanitario e non si manda in pensione l’epocale riforma del 1997 emanata dalla prima giunta Formigoni, che cambiò radicalmente il sistema sanitario lombardo.



Quella riforma, passata alla storia come legge 31, prese il via dalle precedenti evoluzioni normative nazionali, ideando un sistema sanitario regionale caratterizzato da principi che lo rendono ancora oggi unico nel panorama nazionale. Un sistema sanitario dove soggetti pubblici e privati competono tra loro per l’erogazione dei servizi sanitari ai cittadini. Un sistema, inoltre, dove ai cittadini lombardi è data libertà di scelta del luogo in cui farsi curare.

Questi due principi, che sono il cardine del sistema lombardo, rappresentano la realizzazione di una visione culturale e politica che riconosce in un modello sussidiario l’opportunità di definire un welfare che metta al centro la persona. Si parte dal presupposto che un servizio non è pubblico perché erogato da un soggetto di natura giuridica pubblica, ma è pubblico perché destinato ai cittadini, e allora ecco che il sistema ospedaliero viene esteso alle realtà private che rispettano i criteri di accreditamento e che rappresentano in molti casi l’eccellenza della sanità italiana.



Il modello di sanità lombarda diventa nel tempo un caso di scuola e attrae l’interesse di molti tra i più importanti economisti ed econometrici sanitari del mondo che ne studiano le caratteristiche e ne valutano i risultati.

L’estesa produzione scientifica è ormai consolidata e i risultati evidenziano la qualità del modello sanitario lombardo. L’efficienza del sistema è nota da tempo, i conti economici sono sempre stati in ordine, garantendo una spesa pro-capite inferiore alla media nazionale. La qualità del servizio offerto è testimoniata anche dalla reputazione degli ospedali lombardi, che accolgono annualmente oltre 150mila cittadini che vivono in altre Regioni, quasi il 20% di tutti coloro che si spostano per potersi curare dalla propria Regione di residenza. Allo stesso tempo i principali sistemi di valutazione nazionali elaborati dal Laboratorio Mes di Pisa e dal Piano Nazionale Esiti dell’Agenas, confermano come la qualità del servizio sanitario lombardo sia eccellente. E allora perché si dovrebbe accantonare un sistema sanitario che funziona? Infatti, non sarà così.

Nel dettaglio, 35 milioni dei 5 miliardi di euro (0,7%) dedicati all’attività di ricovero “saranno destinati per negoziare in modo mirato alcune tipologie di attività caratterizzate da alta complessità e da criticità relativamente ai tempi di attesa”.

Semmai, un elemento che stona nel provvedimento regionale, riguarda il concetto che “gli erogatori si concentrino su attività caratterizzate da buona redditività unitaria e da non verificata necessità epidemiologica”. Al contrario, l’evidenza scientifica ha dimostrato che gli ospedali che hanno attuato questo comportamento opportunistico, siano essi pubblici o privati, sono quelli che sono stati più penalizzati in termini di rimborsi regionali. Invece chi ha ridotto questo tipo di comportamenti sono gli ospedali pubblici e privati che hanno prodotto più qualità e che hanno attratto il maggior numero di pazienti, e che quindi sono anche i più efficienti.

In sintesi, la Dgr 1046/2018 non riforma il modello sanitario lombardo, ma prosegue nel tentativo di adeguare il sistema all’evoluzione dei bisogni sanitari che emerge con forza dai dati epidemiologici. Si tratta della necessità di un passaggio da un’assistenza che si basa in modo prioritario sull’ospedalizzazione ad un’assistenza che diviene una presa in carico integrata soprattutto delle persone in condizione di fragilità.

Questo non significa abbandonare il modello di sanità implementato con la riforma del 1997; al contrario, se si vuole mantenere i livelli di qualità che quella riforma e i vent’anni di governo del sistema sanitario hanno assicurato, è necessario continuare a lavorare sulla qualità dei servizi offerti. La letteratura scientifica ha evidenziato che la Lombardia ha migliorato il sistema quando ha spinto sulla valutazione della qualità.

Possiamo stare tranquilli, la visione che nel 1997 ha contribuito a riformare la sanità lombarda è viva e continuerà a garantire ai cittadini la possibilità di fruire delle eccellenze che operano nel territorio regionale.