Givoletto è un paesuccio piemontese, che se ne sta là, all’insaputa dei più. Si trova su un altopiano a 25 km da Torino, verosimilmente all’insaputa della sindaco Appendino. All’imbocco della Val di Susa, verosimilmente all’insaputa dei no-Tav.  In una riserva naturale (“Madonna delle Nevi”) che protegge la rarissima euphorbia gibelliana. Dai mille metri dei monticcioli attorno giù giù sino ai 400 della conca dove si trova l’abitato, calano fino a lambire le case boschi di querce, farnie, carpini, ciliegi, tigli, noccioli, roveri, betulle, abeti, robinie ed acacie: verosimilmente all’insaputa dei garruli studentini arruolati nei giorni scorsi a combattere per il clima.



E’ vero che i boschi, come le stagioni, non sono più quelli di una volta: negli anni gli incendi li hanno ridotti di molto. Ma, all’insaputa dei ragazzi coi cartelli e dei devoti di Toninelli, piromani criminali sono tornati alla carica, e per tre giorni e tre notti si è dovuto lottare corpo a corpo con le fiamme per salvare le case e spegnere il rogo. E pensare che l’epica battaglia combattuta (e vinta) da Vigili del fuoco e volontari delle squadre antincendio sarebbe stata tutta a nostra insaputa, se una benedetta foto non fosse sbucata sul web: per una volta benedetto web. Nella foto si vedono il caposquadra e uno dei suoi stesi esausti sul prato: non agitano cartelli e non indossano gilet gialli, ma tute segnate dalla lotta di ore e ore e ore contro le terribili fiamme, sporche di fango e cenere. Hanno dato l’anima, e l’ultima goccia di energia.



Su web, carta o tv, non si contano le immagini di gente più o meno incazzata, che manifesta per far prevalere un’idea: la classica militanza, che tanto più ti sfagiola quanto più ti induce ad accusare altri e non mettere in gioco te stesso.

La foterella scattata col cellulare dei due piccoli grandi eroi antincendio racconta tutto un altro mondo: il mondo della persona che imbattendosi in qualcuno che ha bisogno, si sente mossa a dare qualcosa, o tanto, di sé, per soccorrerlo, per salvare un bene concreto. La foto è bella anche perché documenta il limite: a un certo punto la stanchezza vince, nessuno è onnipotente di fronte al bisogno, che pure mette in moto tutta la nostra umanità. E proprio qui comincia il bello, cioè: il vero.



L’esperienza innescata dalla mossa della persona apre infatti un possibile spazio di domande su di sé, sulla natura del bisogno e su cosa realmente può rispondervi. La pura militanza per un’idea, no. Per questo finisce per essere strumentale proporre ai ragazzi – come nel caso del clima – di propagandare un valore, quand’anche per sé giusto, senza indicare uno spazio e un metodo di reale verifica nell’esperienza, cioè del rapporto tra il gesto e il compimento di sé.