Il sistema giudiziario è un potere insindacabile. E uno si immagina, dopo un’assoluzione definitiva in Cassazione, di dover essere considerato a tutti gli effetti se non un eroe antimafia, certamente una persona per bene e un imprenditore pulito. Così pensava anche Rocco Greco. Si sbagliava, poveretto. Non aveva fatto i conti con il grado di becera e ottusa irresponsabilità cui può giungere un certo modo di intendere e praticare il processo amministrativo e burocratico. Nel nostro caso, quello concernente l’inserimento della ditta di Rocco Greco, la Cosiam srl, nella cosiddetta “white list” delle aziende che possono concorrere alle gare per gli appalti pubblici. Niente da fare. C’è un ufficio al ministero dell’Interno che si chiama Struttura di missione antimafia sisma 2016 e che ha il compito di prevenire le infiltrazioni mafiose nei lavori per la ricostruzione dopo il terremoto del centro-Italia. Compito lodevole.



Ma c’è un rischio serio: quando la procedura fa aggio sulla ragione, la burocrazia diventa (facendo il verso all’opera di Sraffa, La produzione di merci a mezzo di merci) mera produzione di carte a mezzo di carte. Cioè diventa una catena anonima in cui ogni atto è il più possibile “irresponsabile”, cioè legittimato da una firma o da un atto precedente che lo fa apparire quasi una conseguenza necessitata. Atto scritto, naturalmente usando la forma impersonale (“si prende atto, si ingiunge, lo scrivente ufficio si perita di, ecc.), protocollato e firmato.



Ed ecco cosa può essere accaduto. All’Ufficio Sisma si prende atto che in un’informativa di polizia, numero di protocollo eccetera, pervenuta alla scrivente struttura eccetera, si segnala che “nel corso degli anni (il Greco, imprenditore della Cosiam, ndr) ha avuto atteggiamenti di supina condiscendenza nei confronti di esponenti di spicco della criminalità organizzata gelese”. Ecco la carta che giustifica la carta successiva, il provvedimento di non iscrizione alla lista dei buoni, che giustifica a sua volta la carta successiva della prefettura di Caltanissetta, la cosiddetta “interdittiva”, cioè il provvedimento che esclude la ditta da ogni possibile appalto, non solo per il post terremoto. Nella prima carta, e per conseguenza nelle successive carte prodotte a mezzo della carta precedente, si citano segnalazioni e denunce, ma non v’è traccia delle sentenze di assoluzione piena. Non vi è, nonostante gli avvocati del Greco abbiano tempestato uffici e prefetture di documentazione appropriata e ufficiale, cioè abbiano mandato copie della sentenza. Niente, contro la sciatteria – perché a volte proprio di questo, non di chissà quali macchinazioni, si tratta – neanche uno tsunami ce la fa. Restava un’ultima speranza: il Tar. Gli avvocati hanno presentato i ricorsi, chiesta la sospensiva cautelativa dell’interdittiva (normale procedura che si segue in attesa del giudizio nel merito): a tutt’oggi si attende il pronunciamento della giustizia amministrativa… dopo che avrà preso in esame la pratica. Campa cavallo. Sarà comunque un verdetto macabramente “in contumacia”.



Fatto sta che 50 operai erano stati lasciati a casa mancando il lavoro e il padrone si è tolto la vita, disperato per questa situazione kafkiana. Alla fine ha fatto credere a sé stesso che, se si fosse tolto di mezzo, almeno i figli (e l’azienda) avrebbero potuto uscire dall’incubo.

E’ d’uso dare la colpa genericamente alla burocrazia e alle norme spesso farraginose contraddittorie e cretine cui essa deve attenersi. Da riformare radicalmente: ci mancherebbe. Ma non illudiamoci che bastino procedure migliori. Occorre che nella macchina amministrativa pubblica, così come in ogni ambito di lavoro anche del settore privato ci siano degli “io”, persone che non rinuncino a usare ragione, coscienza e attributi in quello che fanno. Per una coscienza dello scopo e per un senso della propria dignità. Quello che c’è prima e quello che c’è dopo un provvedimento o una decisione non è una pezza giustificativa cartacea né un atto dovuto conseguente. E’ un mondo di vite umane, persone, gruppi, imprese, famiglie, destini, e le conseguenze non ponderate per sciatteria o irresponsabilità, vanno a mordere e ferire la carne viva, non altre scartoffie. Tenere presente la realtà invece della sola carta, lo scopo ideale invece della sola “procedura” è ciò che fa la differenza tra il gesto umano degno e la banalità del male.