A La Vita in Diretta, programma di Rai Uno, si torna a parlare dei tragici eventi del 20 marzo 2016, quando in Catalogna morirono 13 studentesse, di cui sette italiane, a bordo di un bus il cui autista spiegò di essersi addormentato. Molti i dubbi in merito a tale vicenda, con due inchieste aperte e poi archiviate, fino allo scorso giugno, quando l’indagine è stata riaperta anche se con lo spettro di una nuova archiviazione: al momento non è ancora stata fatta giustizia, e nessuno ha pagato per quelle 13 vite strappate. «L’ultima perizia – racconta alla Rai Paolo Bonello, il papà di Francesca, una delle ragazze decedute – è assolutamente inutile, molto superficiale, potevano risparmiarsela. L’unico che sa e che non parla è l’autista: non può raccontarci di un colpo di sonno quando le scatole nere rivelano di un tratto di un’ora e mezza in cui il pullman continua ad accelerare e a frenare. I testimoni parlano di molti segnali di stanchezza nell’autista, avrebbe dovuto fermarsi se fosse stato un professionista. La dinamica dell’incidente – aggiunge – è molto chiara, e la prima perizia era assolutamente dettagliata ed escludeva problemi ai freni». Ora si parla di ricorso alla corte dei diritti dell’uomo di Strasburgo: «Noi possiamo fare ricorso quando si chiuderanno le indagini in Spagna – racconta Giuseppe Scarascia Mugnozza, padre di Elisa, altra vittima – ma è incredibile come i tempi della giustizia spagnola siano troppo lunghi: ora viene in mente che a quel paese non piaccia questa ipotesi. E’ importante che si stabilisca la verità per evitare che altri ragazzi corrano questo rischio». (aggiornamento di Davide Giancristofaro)
TRE ANNI FA LA STRAGE DEL BUS IN CATALOGNA
Sono passati tre anni e un giorno da quel terribile 20 marzo 2016, quando in Catalogna si ribaltò un bus carico di studenti universitari: fu un’ecatombe, visto che morirono 13 ragazzi fra cui sette italiani, tutte studentesse impegnate nel programma Erasmus. Francesca Bonello, Elisa Valent, Valentina Gallo, Elena Maestrini, Lucrezia Borghi, Serena Saracino, Elisa Scarascia Mugnozza, questi i nomi delle sette ragazze morte all’alba di domenica 20 marzo 2016. Erano circa le 6 del mattino quanto l’autobus stava viaggiando sulla AP-7 nei pressi di Tarragona, dirigendosi a Barcellona dopo essere partito da Valencia. Il pullman faceva parte di un convoglio di cinque mezzi che si era diretto nella città andalusa per la tradizionale Fiesta de las Fallas, ma sulla strada del ritorno il terribile incidente. Oltre alle 7 italiane, morirono anche due tedesche, una romena, una uzbeka, una originaria della Francia e una dell’Austria, e le vittime avevano tutte un’età compresa fra i 19 e i 25 anni.
BUS CATALOGNA, 3 ANNI FA LA STRAGE
L’autista del bus ammise le proprie responsabilità, dicendo di essersi addormentato durante il viaggio: era un 63enne risultato negativo al controllo su tasso alcolemico e droga, ma durante il tragitto di ritorno il colpo di sonno fatale a 13 giovani studentesse. Oltre alle 7 ragazze decedute, altri quattro italiani rimasero coinvolti nell’incidente, ricoverati presso gli ospedali vicini, ma fortunatamente ripresisi pochi giorni dopo. Su quei cinque autobus c’erano più di 300 persone, tutti studenti provenienti da ben 13 diverse nazionalità. Nella giornata di ieri, in occasione del terzo anniversario di quei tragici eventi, gli avvocati delle famiglie delle vittime hanno fatto recapitare una lettera all’esecutivo, per sollecitare il governo ad attivarsi sbloccando la vicenda giudiziaria: il caso è stato archiviato due volte senza alcun colpevole, ma nel giugno del 2018 è stata aperta una nuova inchiesta: «I tempi della giustizia spagnola sono al di fuori di ogni regola e morale – le parole di Alessandro Saracino, papà di Serena, studentessa torinese che morì nell’incidente – abbiamo provato a sollecitare il governo, ma senza risposte. Il 3 aprile saremo a Roma per incontrare Maria Elena Boschi che ha presentato in Parlamento un’interpellanza sul tema».