Una storia terribile di violenza ci costringe a cercare un giudizio adeguato. Un autista di scuolabus di origini senegalesi, Ousseynou Sy, ha sequestrato e trasformato in potenziali vittime più di 50 studenti di una scuola di Crema, obbligando le maestre a legarli con fascette e preparandosi a bruciarli vivi. Lui, padre con due figli, residente in Italia da 15 anni, ha motivato il suo gesto con l’intenzione di “fermare le morti nel Mediterraneo” dei migranti, addossandone la colpa a Salvini e Di Maio.



Solo due eventi sfuggiti al suo controllo hanno permesso di salvare i bambini. Un ragazzino è riuscito a liberare i polsi legati e, avendo nascosto il telefonino che l’autista non era riuscito a sequestrare, ha avvisato il padre, che a sua volta ha avvertito i carabinieri. Il folle autista, all’arrivo delle forze dell’ordine e dopo aver forzato un posto di blocco e speronato altre auto, ha incendiato il veicolo, dopo aver cosparso il mezzo di benzina. Fortunatamente è stato fermato e si è riusciti a far scendere di corsa i bambini.



Come valutare questo gesto? L’uomo, che ora è accusato di strage e sequestro di persona con l’aggravante del terrorismo, era evidentemente in stato di squilibrio mentale, pur conservando una certa razionalità. Il riferimento al dramma dei migranti è il prodotto delle contrapposizioni politiche nel nostro Paese. Che ne sia responsabile questo governo, mentre sono diversi anni che assistiamo alla tragedia dei migranti, è solo la sintesi politichese dei contrasti. Che poi in questo senegalese, ma cittadino italiano, sia diventato odio verso gli italiani è l’effetto del dramma che una vita emarginata produce. L’uomo era evidentemente scontento per il suo lavoro, per il futuro dei suoi figli e per altre ragioni, ma quello che gli è mancato è un luogo educativo, capace di generare integrazione nella nostra vita sociale.



Non possiamo lasciar maturare un senso di fallimento tale da da far sentire viva una persona solo se odia, vedendo ovunque nemici. Ma questo accade anche per il diffondersi della paura verso i migranti, visti come potenzialmente pericolosi. Non è così, la pericolosità sociale è sempre esistita, come conseguenza delle situazioni malavitose e di degrado. La violenza è frutto delle crisi che incidono sulla composizione delle comunità locali e dei territori.

Di odio in odio ci distruggiamo tutti. Essere vivi vuol dire essere fiduciosi, in attesa di buone possibilità per tutti. Se ci si conosce e si frequentano persone che ci possono tenere dentro una rete sociale, di rapporti, allora si vede che si è vivi quando si ama, non quando si odia. Chi vive di odio, è già morto.