Laura Taroni fu forzata dal marito ad abortire. Lo ha dichiarato Leonardo Cazzaniga, ex viceprimario del pronto soccorso di Saronno a processo per 12 morti sospette in corsia e 3 nella famiglia dell’ex amante infermiera, già condannata a 30 anni di carcere col rito abbreviato. Ieri in aula del Tribunale di Busto Arsizio per il caso delle morti in corsia, Cazzaniga ha dichiarato di aver visto la foto del feto, di cui sarebbe stato il padre («Io avrei voluto una femmina e l’avrei chiamata Martina»), abortito dalla Taroni su presunta costrizione del marito. «Ho visto la foto dopo l’intervento di raschiamento a cui lei si sottopose», ha dichiarato il medico durante il controinterrogatorio condotto dal suo avvocato Ennio Buffoli. Quell’amore poteva essere coronato dunque dall’arrivo di un figlio. Come riportato da Il Giorno, Cazzaniga ha rivelato che l’ex amante gli aveva parlato della gravidanza. «Un giorno annunciò di dover fare un raschiamento e che le avrebbero tolto anche il bambino. Mi mostrò una foto che sembrava raffigurare un feto adagiato su un telo verde, appoggiato su una mensola bianca».
MORTI IN CORSIA, IL PROTOCOLLO CAZZANIGA IN AULA
Secondo quanto dichiarato da Laura Taroni nel suo incidente probatorio, il marito Massimo Guerra la costrinse ad abortire somministrandole ossitocina. La donna fu poi costretta a ricorrere alle cure dei sanitari, che sono testimonianze dalla documentazione agli atti. Nel controinterrogatorio di ieri, inoltre, Leonardo Cazzaniga ha spiegato – come riportato da Il Giorno – di essersi sentito “tradito” dall’ex amante, che di fatto lo avrebbe amato solo nei primi periodi della loro storia. Il medico ha poi affrontato nuovamente l’argomento relativo al protocollo di farmaci usato sui pazienti «in fin di vita, solo per lenire le loro sofferenze». A tal proposito, l’ex viceprimario del pronto soccorso di Saronno ha ribadito il ruolo etico del medico che, secondo la sua morale, deve fare qualsiasi cosa per impedire ai pazienti di soffrire inutilmente. «Negli ospedali pubblici molti medici non trattano i pazienti come esseri umani sofferenti, ma come oggetti da gestire. Gente così dovrebbe cambiare lavoro».