Caro direttore,
lungi dal sottoscritto prendere le difese di Federico Pichetto. Non ne ha bisogno, è persona dalla grandissima cultura e dalla profonda intelligenza, che ha scritto su questo giornale pagine di grande spessore umano e intellettuale. Quello che si potrebbe invece tentare di cogliere è l’aspetto mediatico e sociale che emerge dagli oltre cento commenti (forse il record per la pagina Facebook de ilsussidiario.net), tutti, ma proprio tutti, scatenati contro l’articolo scritto da Pichetto un paio di giorni fa. Un buon sondaggista, i quali usano per le loro ricerche campioni solitamente di mille persone, saprebbe cavarne più, certo è che il risultato è del 100 per cento a sfavore dell’articolo. Articolo che fa un’analisi personale, buona o cattiva, ma rispettabile, dicendo peraltro una verità (quella che ha infastidito tutti i commentatori) che a scatenare gesti drammatici come quello di Ousseynou Sy sia una colpevolezza condivisa fra tutti noi, complice “una propaganda avvenuta attraverso le parole che quell’uomo aveva potuto ascoltare in rete, per radio o per televisione: sono le parole che hanno reso quell’uomo violento; sono le cose che ha ascoltato che lo hanno reso un criminale, un terrorista e un potenziale assassino”.
Inutile dire che è dimostrato che sia così, ne sono esempio i casi di lupi solitari, abbeveratisi tramite Internet, le televisioni, le parole appunto sentite in giro, gente senza alcun contatto con le organizzazioni terroristiche e che pure hanno agito da terroristi. E’ inquietante che di questa realtà si rifiuti di prendere atto. Il caso in questione poi è ancora tutto da indagare: non sappiamo, a questo punto, praticamente nulla. Certo, si potrà dire, voi giornalisti aspettate prima di parlare, ma così scomparirebbe il giornalismo stesso che, magari anche sbagliando, deve in forza al diritto di informazione tentare approfondimenti, spiegazioni, giudizi anche a caldo. Ma allo stesso tempo i lettori che sono nelle stesse condizioni del giornalista (in questo caso un editorialista che mai parla senza approfondire) ritengono tranquillamente di avere già ogni verità in tasca. Non è anche questo frutto delle tante parole che sentiamo in giro, che facciamo nostre con totale certezza quando rispecchiano quello che già riteniamo di sapere, di avere la verità in tasca?
C’era un tempo in cui nei bar era bello vedere il pensionato seduto con il suo crodino al tavolo con tre o quattro quotidiani intento a leggerli tutti. Ricordo mio padre, un uomo che lavorava durissimamente durante la settimana, che chiedeva che comprassimo il giornale tutti i giorni per poi leggersi tutta la settimana di notizie al sabato. Non voleva perdersi niente, era curioso, voleva sapere ogni cosa, per formarsi un giudizio. E non urlava (come facciamo noi nei social) la sua disapprovazione per questo o per quello. La facilità di dire la nostra dell’era Internet ha portato a un impoverimento umano e culturale. Non si approfondisce, ma si reagisce.
C’è un altro aspetto che emerge: noi non siamo colpevoli di niente, siamo i buoni, è sempre dell’altro la colpa. Lo esprime chiaramente un commento: “Io non ho armato proprio un c…zzo di nessuno. L’uomo è libero e il dramma della libertà comporta anche che scelga scientemente il male. Bisogna smetterla di giustificare sempre tutto e tutti. Questo tizio è un uomo libero che ha scelto il male”. E un altro: “Se fosse vero che ‘abbiamo armato l’attentatore con le nostre parole’ allora chiunque sarebbe intitolato a cercare di far fuori gli altri armati dalle loro parole: le mogli i mariti; i mariti le mogli; i genitori i figli e viceversa; non parliamo delle suocere!”. Be’, è quello che succede tutti i giorni: figli ammazzati, mogli o ex mogli massacrate, famiglie che si suicidano in massa, rivali al lavoro uccisi. Fino al semplicismo puro e buono: “È un terrorista e basta” o alla paura: “chi ha scritto questo articolo non aveva di sicuro suo figlio/a su quel l’autobus, mentre lui/lei stava tranquillo al suo computer a scrivere senza che nessuno lo/la minacciasse”.
Ecco altri due punti interessanti. Di Sy come detto non sappiamo niente, ma sappiamo quello che sta dicendo, frasi sconclusionate tipiche di chi ha una mente confusa. Non è un terrorista, al massimo un terrorista fai da te (che peraltro ha avvertito i carabinieri di non sparare sull’autobus perché era pieno di benzina e tutti i bambini a bordo sarebbero morti). La cosa inquietante è che nessuno ha colto una corrispondenza con le motivazioni che ha dato del suo gesto e certe parole del vice ministro Salvini l’altro in giorno in Parlamento, conclusesi con qualche lacrimuccia del partito: “Non voglio che gli africani muoiano più in mare”. Stesse parole: lo faccio perché la gente non muoia in mare. Coincidenze? Può darsi, sta di fatto che le strade scelte dai due per evitare queste morti sono perdenti e gravissime in modo uguale: uno rapisce 51 bambini e vuol farsi esplodere all’aeroporto, l’altro chiude i porti lasciando alla deriva donne e bambini.
E poi la paura, il terrore che questo mondo in cui viviamo ci ha inculcato, che ci fa ormai vivere al chiuso del nostro orticello nascondendoci e rifuggendo ogni incontro. Ma il mondo, lo si voglia o no, è cambiato e sta cambiando, probabilmente, anzi sicuramente in peggio. Domandiamoci: perché invece di incolpare Pichetto, non capiamo le ragioni di una paura che in realtà ha poche ragioni fondate? C’è ancora chi dice che il senegalese era un uomo integrato, cittadino italiano, lavoratore, in pratica un sano cittadino che ha preso tutto il buono che gli abbiamo dato e ci ha ripagati con questo gesto folle. Be’, ci piacerebbe sapere quanti italiani che si trasferissero domani completamente da soli in Burundi o in Senegal, e non in una suite cinque stelle da top manager, ma in un villaggio solo di africani a lavorare umilmente come autisti, avrebbero la testa a posto dopo 15 anni. Era davvero integrato? Era accolto?
Poi c’è chi accusa il giornale, ilsussudiario.net, per ospitare questi articoli: ma la libertà di stampa conta ancora qualcosa? Ilsussidiario.net pubblica punti di vista diversi, fa della libertà di espressione la sua forza.
Come dicevo, nessun tentativo di difendere Pichetto, non ne ha bisogno. Viene in mente un vecchio motto che è stato il fondamento del viver comune e del rispetto della società civile: “Non sono d’accordo con quello che dici, ma darei la vita perché tu lo possa dire”. Oggi sembra sia stato capovolto con: “Non sono d’accordo con quello che dici, e farò di tutto per distruggere quello che dici”. E’ un bene?